
Il veganismo e l’antispecismo non sono esattamente la stessa cosa: il primo si oppone allo sfruttamento e alla crudeltà sugli animali, il secondo invece si oppone alla discriminazione in base alla specie.
In effetti veganismo e antispecismo sono due posizioni molto vicine fra loro e assieme si rafforzano a vicenda. Di fatto sono entrambe posizioni etiche focalizzate sulla considerazione morale che abbiamo degli animali.
Tuttavia dobbiamo considerare che il veganismo e l’antispecismo cercano di contrastare ciascuno una specifica ideologia dominante, molto diffusa tra le persone, che non è esattamente la stessa per entrambe.
Fondendo assieme queste due posizioni etiche, il numero di attivisti e simpatizzanti rimane lo stesso (quando non diminuisce) mentre le problematiche sul piano culturale si sommano e lo sforzo necessario per combatterle aumenta. Ma per essere vegan non è necessario essere anche antispecisti, e ciò che è davvero importante è che gli esseri umani smettano di trattare gli animali come cose da usare e da possedere.
Se per convincere le persone a diventare vegane fosse necessario convincerle a diventare anche antispeciste questa battaglia sarebbe di certo più difficile.
È vero che l’antispecismo può aumentare la convinzione ad essere vegan, ma non dobbiamo per forza far diventare le persone antispeciste per riuscirci. Anzi, è più facile far capire loro che gli animali hanno il diritto di non essere nostri schiavi (soprattutto per quanto riguarda le forme di sfruttamento più violente) senza cercare contemporaneamente di convincerle che la vita degli animali valga quanto quella umana.
In realtà diffondendo l’idea che il veganismo implichi l’antispecismo potremmo star riducendo le possibilità di diffondere entrambe queste posizioni.
Spesso nell’attivismo vegan si usano argomentazioni antispeciste per far capire che è sbagliato usare gli animali come oggetti. Ad esempio, si paragonano i cani e i gatti alle specie sfruttate per l’alimentazione umana per far capire che non c'è alcuna differenza rilevante. Oppure, quando i non vegani sostengono che ciò che viene fatto agli animali sia giustificato a causa delle loro inferiori capacità intellettive, gli viene risposto che se applicassimo lo stesso criterio agli esseri umani dovremmo giustificare il medesimo trattamento anche sui bambini piccoli o sulle persone con gravi disabilità mentali.
Usare argomentazioni come queste a sostegno del veganismo non è sbagliato, anzi è giusto e importante farlo. Ciò che invece è meglio non fare è unire e confondere il concetto di veganismo con quello di antispecismo. Diffondere l’antispecismo non è un male, però è bene non lasciare intendere che essere vegan comporti necessariamente essere anche antispecisti.
La logica che sta dietro l’antispecismo può sembrare perfettamente chiara e semplice, ma in realtà non lo è. Al contrario porta con sé svariati problemi conoscitivi e di comprensione. Ad esempio diverse persone confondono l’antispecismo con l’idea che gli organismi di tutte le specie, inclusi piante e batteri, vadano considerati allo stesso modo sotto l’aspetto etico.
In realtà, così come ad esempio il sessismo non riguarda il sesso delle piante e l’abilismo non riguarda le abilità dei batteri, lo specismo non riguarda la specie degli organismi che non ospitano una coscienza. Quando si parla di discriminazione il riferimento è sempre e solo a degli individui, cioè ad esseri coscienti/senzienti e non agli organismi viventi in generale. Ma nel caso dello specismo questo viene più spesso frainteso.
Un ulteriore aspetto che porta confusione riguarda il fatto che l’antispecismo non richiede di trattare tutti gli individui allo stesso identico modo, ma semplicemente di considerare interessi di pari forza in egual misura, indipendentemente dalla specie di appartenenza. Ad esempio, l'antispecismo non richiede di concedere agli scimpanzé il diritto di voto dato che non hanno la capacità di esercitarlo.
Un elemento che confonde ancora più spesso riguarda i gusti estetici e i le idee generali che si possono avere sulle specie. Avere gusti sulle caratteristiche delle specie e riconoscerne le differenze non equivalgono allo stigma o alla discriminazione.
Provare sensazioni negative per gli individui che appartengono a determinate categorie, o avere idee stereotipate sull’indole o sulle capacità degli individui che appartengono ad una categoria sono effettivamente elementi su cui può essere basata una discriminazione, oppure possono esserne una manifestazione, ma non sempre.
Avere idee e sensazioni differenti (anche negative) sulle categorie a cui appartengono gli individui non ha necessariamente a che fare con la discriminazione. Ad esempio provare paura o disgusto per l’aspetto estetico dei ragni non significa necessariamente discriminare i ragni, e avere un’idea negativa dell’istinto predatorio degli animali non significa necessariamente discriminare i predatori. Anche attribuire inferiori capacità intellettive agli animali rispetto agli esseri umani non equivale a stigmatizzarli o discriminarli.
Il concetto di discriminazione fa riferimento al modo peggiorativo in cui consideriamo gli individui sotto l’aspetto morale. Stiamo discriminando quando attribuiamo loro minori diritti morali e minore valore etico senza giustificazione e, a torto, ci sentiamo giustificati a trattarli in modo peggiore.
Persino per noi vegani queste sfumature del concetto di ‘antispecismo’ non sono sempre facili da comprendere. Inoltre è più difficile fare ragionamenti etici corretti quando sono coinvolte determinate categorie di individui.
Se ad esempio affermiamo che "dovremmo avere per una zanzara la stessa considerazione morale che abbiamo per un essere umano” quasi sempre la gente non capisce, pensa sia un’assurdità e anche volendo non riesce ad essere d’accordo fino in fondo con questa idea.
Tralasciando lo specismo diffuso che si somma a questioni di convenienza o di necessità, in effetti dietro a questa affermazione c’è un ragionamento ben più complesso, che porta con sé un certo rischio di commettere errori di interpretazione. Infatti il vero senso della frase sarebbe: “dovremmo avere per una zanzara la stessa considerazione morale che abbiamo per un essere umano - avente le stesse caratteristiche di una zanzara che riterremmo moralmente rilevanti in un essere umano”.
In generale, con l’antispecismo è facile confondersi, soprattutto per via delle differenze esistenti tra le specie, come quelle che riguardano le capacità e i bisogni, oltre che per l’incertezza sulle possibili differenze nella varietà e intensità di coscienza e senzienza per alcune specie di invertebrati, rendendo l’antispecismo molto meno chiaro e meno convincente rispetto al veganismo.
Oltre ai fraintendimenti, l’antispecismo si presta maggiormente anche a strumentalizzazioni di varia natura, con conseguenze dannosissime per gli animali, inoltre abbraccia tematiche che vanno al di là del veganismo.
Una di queste è il protezionismo nei confronti degli animali selvatici, anche chiamato WAS (wild animal suffering) un nascente movimento interessato a ridurre la sofferenza e la morte prematura degli animali selvatici a favore di interventi umani nell’ambiente e negli ecosistemi allo scopo di aiutare gli animali vittime di condizioni avverse per cause naturali.
Mentre il WAS non rientra nel veganismo, può invece rientrare a pieno titolo nell’antispecismo. L’idea è che, se riteniamo giusto aiutare gli esseri umani in difficoltà anche quando non sono vittime di ingiustizie bensì di semplici condizioni naturali avverse, per essere antispecisti lo stesso ragionamento dobbiamo applicarlo anche agli animali selvatici.
Associare l’antispecismo al veganismo rischia quindi anche di aprire le porte a questa idea all’interno del movimento vegan, finendo per danneggiarlo in vari modi, a partire dai fraintendimenti che si creerebbero sul significato del veganismo.
Anche se può non sembrare, quello della sofferenza degli animali selvatici è un tema estremamente complesso, controverso e divisivo, con implicazioni che possono facilmente danneggiare la diffusione del veganismo: un tema che tende non solo a creare fazioni e lotte intestine, ma anche derive contrarie al veganismo stesso, e che è in grado di dissuadere tantissime persone dal prendere in considerazione l’idea di diventare vegane e attiviste per la liberazione animale.