21 giugno 2025

Il Protezionismo Può Davvero Aiutare gli Animali?

Nell'ambito dell’attivismo per gli animali, il protezionismo (o welfarismo) è l'approccio che punta al miglioramento della qualità della vita degli individui sfruttati (e in particolare alla riduzione della sofferenza a cui vengono sottoposti) ma non all’abolizione del loro sfruttamento.

Questo approccio è legato al concetto di ‘benessere animale’, spesso usato in modo ipocrita e ingannevole nel tentativo di giustificare la schiavitù dei non umani, ma che a volte viene usato anche in riferimento agli animali adottati o a quelli selvatici.

Normalmente il protezionismo viene contrapposto all’abolizionismo: l’approccio all’attivismo che, al contrario, punta all’abolizione dello sfruttamento degli animali, ma non al miglioramento della qualità della loro vita.

Se il protezionismo viene inteso come l’ideale a cui ambire, ovvero l’obbiettivo ultimo che si cerca di perseguire, allora è senza dubbio l'approccio sbagliato.

Se invece viene inteso come una mera strategia messa in atto, non sul piano culturale bensì su quello giuridico, allo scopo di ridurre la sofferenza inflitta agli animali, allora non c’è ragione di giudicarlo come un approccio intrinsecamente sbagliato.

Se ci pensiamo, al posto degli animali sfruttati anche noi preferiremmo evitare il più possibile di sperimentare sofferenza, soprattutto quella più intensa e intollerabile, nonostante l’impossibilità di sfuggire alla prigionia e all’uccisione.

In generale, prevenire e ridurre la sofferenza estrema è di per sé una cosa molto importante, e almeno in teoria non è sbagliato perseguire questo obbiettivo anche per gli animali schiavizzati.

In pratica però si tratta di una strategia per lo più inefficace, e che porta con sé molti rischi.

Infatti il protezionismo viene facilmente utilizzato a proprio vantaggio da chi ha interessi legati alla schiavitù dei non umani, attraverso una comunicazione ingannevole nei confronti dei consumatori, di cui una parte consistente desidera proprio essere rassicurata su una tanto compassionevole quanto impossibile fabbricazione di prodotti animali senza crudeltà (escludendo ovviamente il futuro dei prodotti da agricoltura cellulare).

Allevamenti e altre aziende del settore agroalimentare, ad esempio, fingono spesso di tutelare il benessere degli animali che sfruttano, senza in realtà fare nulla del genere, e lo fanno al solo scopo di promuovere il consumo di carne, latticini e uova.

E’ vero che aziende e altri soggetti attuano questa strategia indipendentemente dal protezionismo, ma la complicità, o anche solo l’apparente approvazione da parte delle associazioni animaliste può decisamente peggiorare le cose.

Di certo è sbagliato far credere alle persone che si possa evitare di partecipare a gravi ingiustizie senza essere vegan, o che possano esistere allevamenti virtuosi, prodotti animali senza crudeltà e un modo “umano” di sfruttare e uccidere gli animali.

Disincentivare il consumo di alcuni "prodotti" promuovendo, anche solo implicitamente, il consumo di altri (inclusi quelli a terra, all’aperto, biologici o simili) non aiuta in nessun modo gli animali, anzi.

La sfida del protezionismo è proprio quella di riuscire ad ottenere la riduzione della sofferenza inflitta ai non umani senza sostenere in nessun modo la propaganda dei loro aguzzini. Se saranno le stesse associazioni animaliste a premiare le aziende crudeli e a sostenerle in questa propaganda, si farà solamente il loro gioco. E’ necessario invece far capire alle persone che essere vegan si può e si deve, e che nessuna scelta alternativa a questa aiuta davvero gli animali.

In teoria sarebbe auspicabile attuare riforme che riducano la sofferenza di quelli sfruttati senza promuoverne lo sfruttamento, ma in realtà è molto difficile avere successo in questo, e le insidie sono numerose.

Quasi mai l’approccio protezionista porta davvero ai risultati sperati, e allo stesso tempo rischia di far sentire più a proprio agio le persone nel non essere vegan, e di far perdere di vista il vero obbiettivo.

Attraverso il protezionismo, oltre a rischiare di remare contro la diffusione della scelta vegan, si rischia di illudere attivisti e simpatizzanti di star investendo bene il proprio lavoro e il proprio denaro, quando invece potrebbero essere spesi meglio in altri modi.

È vero che promuovere campagne protezioniste porta ad ottenere maggiori consensi e maggiore supporto da parte delle persone rispetto a campagne per la diffusione del veganismo, ma questo non equivale a fare progressi nella liberazione degli animali, e non è nemmeno una garanzia di successo per gli stessi obbiettivi protezionisti.

Quasi certamente un significativo aumento nel prezzo dei prodotti di origine animale ne farebbe calare il consumo, risparmiando così molte vittime, ma le riforme protezioniste ottenute fino ad ora in diversi paesi non hanno avuto questo effetto.

Probabilmente i prezzi dei prodotti animali aumenteranno solo grazie ad un intervento nella politica fiscale ed economica degli stati (a cui è molto più facile che si arrivi per motivi di sostenibilità ambientale, sanitaria ed economica piuttosto che per motivi etici o di sensibilità per la sorte degli animali, e non in una competizione tra parti politiche bensì attraverso un consenso trasversale).

L’abolizione dello sfruttamento degli animali non si otterrà dall’oggi al domani ma sarà un processo graduale. L’aumento di sensibilità e di interesse delle persone non porterà immediatamente al veganismo ma nel frattempo alimenterà anche visioni protezioniste da parte delle persone non vegane. In questo processo è probabile che vengano istituite riforme protezioniste che andranno di pari passo ad una diminuzione nel numero delle vittime.

L’approccio protezionista non è sbagliato se riesce a prevenire sofferenza per gli animali sfruttati anche senza una diminuzione nel numero delle vittime, ma lo è se frena la diffusione del veganismo e ostacola il raggiungimento del fine abolizionista.

In ogni caso occorre fare molta attenzione alle insidie del protezionismo, che non deve essere l’obbiettivo ma solo un compromesso nell’eventualità in cui sia davvero realizzabile e non sia controproducente per la liberazione degli animali.

L’obbiettivo deve essere la fine dello sfruttamento degli animali e della crudeltà nei loro confronti. L’unico modo per raggiungerla è abolire lo status di proprietà a cui sono relegati, e il protezionismo non aiuta in questo. Se si punterà solo a migliorare la qualità della loro vita, probabilmente non si otterrà nemmeno questo.