20 giugno 2024

La Purezza Uccide

Se essere vegan significasse essere perfetti allora l’unico vero vegano sarebbe quello morto. La purezza e la perfezione non possono esistere. Ma poi il punto non è essere puri e perfetti. Il punto è salvare gli animali!

Il veganismo non va visto come un insieme di regole o un'identità sociale, e nemmeno come uno stile di vita fondato sul modo in cui lo viviamo, ma come il riconoscimento del dovere morale di non essere crudeli verso gli animali e di non usarli per i nostri interessi. Tutto il resto è una conseguenza e non il motivo, o il fulcro della questione.

Dobbiamo ricordare che la scelta vegan non è incentrata su di noi ma sugli individui che subiscono le conseguenze delle nostre scelte. Non dovrebbe essere fatta per sentirsi speciali, meritevoli o virtuosi ma per non fare del male agli animali.

Proprio a questo scopo è necessario capire quando è ragionevole considerare un consumo come “non vegano”.

Certamente non possono essere considerati vegani tutti quei prodotti (alimentari o di altro tipo) che derivano chiaramente da animali o che contengono prodotti animali chiaramente riconoscibili negli ingredienti e nei componenti. Esistono tuttavia casi dove lo sfruttamento e i danni agli animali sono nascosti, ed è necessario saper distinguere quelli in cui ha senso fare attenzione ad evitarli da quelli in cui non ha senso farlo, soprattutto quando ci rivolgiamo ad altre persone e spieghiamo loro cosa significa essere vegani nella pratica.

Il veganismo non deve essere inteso e vissuto dalle persone come qualcosa di estremamente difficile, o peggio di impossibile, e magari persino inutile. E’ importante discernere e riconoscere i limiti della scelta vegan sulla base della sua efficacia, sostenibilità e accessibilità, non nel nostro interesse ma in quello degli animali.

Occorre quindi fare le giuste distinzioni: tra uccisioni volontarie e involontarie, tra comportamenti attuabili e inattuabili, e soprattutto tra scelte che salvano animali e altre che non hanno questo effetto.

Alcune persone stabiliscono degli standard impossibili per la scelta vegan. Solitamente i non vegani lo fanno per giustificare la loro mancanza di volontà di fare questa scelta, dipingendola come qualcosa di irrealizzabile. Nel caso dei vegani, spesso lo si fa senza rendersene conto, perché si è perso di vista il senso e l’obbiettivo del veganismo e ci si lascia prendere da manie di purezza e di perfezione.

Sono 4 le categorie di standard impossibili che più frequentemente vengono posti dai vegani.

STANDARD IMPOSSIBILE N. 1

Il primo riguarda la vivisezione.
Ogni tanto qualche tipologia di prodotto, come ad esempio l’alcol o l’inchiostro, viene arbitrariamente proclamato “non cruelty-free”.
Praticamente tutto ciò che utilizziamo è stato prodotto con sostanze che sono state testate sugli animali almeno una volta. Tutte le nuove sostanze sintetiche create e commercializzate devono essere sperimentate su animali per legge. In più, a volte vengono utilizzati animali per testare qualunque tipo di prodotto o sostanza, naturale o artificiale che sia. Non è che per questo qualsiasi nostro acquisto e consumo vada ad incrementare la vivisezione o sia da evitare. Questi test non vanno confusi con quelli oggetto dello standard internazionale sui prodotti cruelty-free, sviluppato in modo attuabile ed efficace allo scopo di contrastare la vivisezione. Sulla vivisezione i consumatori hanno un potere molto limitato. Evitare l’acquisto di un prodotto qualsiasi non può salvare alcun animale dagli esperimenti. E poi secondo questa logica praticamente nulla potrebbe più essere acquistato.

STANDARD IMPOSSIBILE N. 2

La categoria degli standard impossibili più frequentemente sollevati dai vegani è probabilmente quella che riguarda gli scarti di origine animale. Questi scarti sono utilizzati in svariati settori industriali e in numerosi processi di produzione.

Due esempi emblematici sono quelli dell’agricoltura e del settore chimico: le deiezioni, il sangue, e svariati altri scarti animali sono usati come fertilizzanti e stabilizzanti del terreno, mentre i grassi animali e la cartilagine vengono utilizzati per produrre colle, solventi, lubrificanti e glicerina, impiegata in numerose applicazioni, inclusa la fabbricazione di esplosivi, resine e plastiche, nonché come intermediari chimici in molteplici processi di sintesi industriale.

Già solo questi due aspetti riguardano la gran parte dei consumi essenziali delle persone, ma non finisce qui perché gli scarti animali vengono utilizzati anche per il trattamento di svariati materiali, nell’artigianato, nel restauro, per la lavorazione del legno e persino per la produzione di biocombustibili.

Possono essere utilizzati anche per produrre materiali biodegradabili, come bioplastiche e pellicole per imballaggio. Addirittura nell’edilizia: la cenere di ossa può essere utilizzata come additivo nel cemento e in altri materiali da costruzione. Anche per i prodotti alimentari vegani possono essere utilizzati scarti animali nel processo produttivo (non come ingredienti ma come coadiuvanti tecnologici).

Tutti questi scarti non vengono usati perché siano necessari ma perché risultano più economici e reperibili. Non sono impiegati in ogni singola filiera produttiva, ma essendo invisibili ai consumatori e adoperati in una così vasta gamma di settori, risulterebbe estremamente difficile individuarli ed evitarli. Inoltre sarebbe ininfluente dal punto di vista etico. Infatti gli animali non vengono allevati e uccisi per questi scarti bensì per la produzione di carne, pesce, latticini e uova (inclusi quelli presenti nei prodotti come ingredienti) oltre che per la loro pelle, pelliccia, lana e piuma.

Se le persone smettessero di acquistare e consumare questi “prodotti”, le aziende si sposterebbero automaticamente sull’utilizzo di materiali alternativi, come del resto stanno già facendo con la tendenza generale ad utilizzare sempre più spesso materie prime di origine vegetale o minerale.

STANDARD IMPOSSIBILE N. 3

Un altro standard impossibile molto gettonato riguarda gli animali uccisi semplicemente perché abitano gli ambienti che gli esseri umani utilizzano per vivere, nelle coltivazioni, oppure attraverso l’inquinamento o i trasporti. In realtà, per la precisione, va detto che in questo caso non si tratta nemmeno di sfruttamento di animali o di crudeltà verso di loro.

Certo, è bene cercare di ridurre al minimo anche questi effetti, ma non è possibile ridurli a zero. Si tratta di uccisioni involontarie e per lo più inevitabili.

Non c’è motivo di considerare non vegano ad esempio l’olio di palma, il frutto del fico, l’avocado, la frutta secca, la quinoa o l’amaranto, perché sostanzialmente non sono diversi da tutti gli altri prodotti vegetali.

Nessun prodotto supera la devastazione ambientale e il conseguente numero di uccisioni di animali selvatici causato dagli allevamenti, tuttavia un certo numero di uccisioni involontarie avvengono per la coltivazione di qualsiasi prodotto vegetale, indistintamente: i pesticidi e l’aratura, in particolare, uccidono ogni sorta di animale.

Per molte coltivazioni vengono persino usati insetti, i quali sono allevati e commercializzati appositamente per il contrasto ai parassiti delle piante.

Anche i trasporti uccidono incidentalmente animali. Tutte le merci vengono trasportate, quindi tutto ciò che acquistiamo e che usiamo causa il ferimento e la morte di animali, come del resto pure l’utilizzo dell’automobile, o anche il solo camminare…

Ci sono cose sulle quali abbiamo il controllo, come gli insetticidi e le trappole letali che possiamo (e ovviamente dobbiamo) scegliere di non utilizzare, ma su cose del genere il controllo non ce l’abbiamo, quindi non possiamo farlo diventare parte del veganismo.

STANDARD IMPOSSIBILE N. 4

L’ultima categoria di standard impossibili è quella dei prodotti vegani di aziende non vegane.
Chiaramente le aziende non sono tutte uguali. Ad esempio, possono offrire prodotti vegani e non, in proporzioni differenti.

Qualunque sia il nostro punto di vista sulla questione, si tratta anche in questo caso di qualcosa che va oltre il nostro controllo. Sarebbe molto difficile identificare tutte le aziende non vegane con tutte le possibili affiliazioni commerciali, e sarebbe impossibile prevedere ogni singola dinamica rilevante sulla questione. Banalmente, persino le aziende vegane non sempre hanno comportamenti corretti verso gli animali. Senza contare che diventerebbe tutto troppo proibitivo.

Affermare che i consumi appartenenti a queste categorie di standard impossibili non siano vegan è molto dannoso per gli animali. Far credere che essere vegani significhi rinunciare a tutto, allontana le persone portando ad un maggior numero di individui sfruttati e uccisi.

Se lo facessimo non salveremmo nessun animale, anzi, mostreremmo solo il veganismo come estremamente più difficile, dissuadendo le persone dal fare questa scelta.
Evitiamo certi errori per non diventare controproducenti per gli animali.

Allo stesso scopo, è importante non far credere alle persone che un’intera categoria di prodotti non sia vegan, se non è così. Ad esempio è dannoso per gli animali far credere che chi è vegano non possa fumare solo perché gran parte delle aziende del settore finanzia la vivisezione, oppure che non possa bere alcolici solo perché in alcuni casi vengono utilizzati ingredienti animali nel processo produttivo.

Non dobbiamo far passare il messaggio che certi standard inutili e inattuabili facciano parte di questa scelta. Occorre considerare che sono altre le cose che salvano gli animali, cose come: vivere il veganismo in modo sostenibile, fare attivismo, mostrare che questa scelta non è difficile o sconveniente e apparire normali per incoraggiare chi non è vegan a diventarlo, cose che non devono essere intralciate da simili ambizioni (più dettate dall’ego che dall’etica).

Se mettiamo sulla bilancia la dissuasione dalla scelta vegan per la difficoltà percepita, e gli animali risparmiati, il peso è tutto a sfavore di quest’ultimi.

Tutto questo ovviamente non va frainteso con l’idea che si possa essere vegani se si compiono o si sostengono lo sfruttamento e la crudeltà sui non-umani, soprattutto attraverso il consumo di parti del corpo o secrezioni di animali chiaramente presenti nei prodotti. Sicuramente fare attenzione ad evitare anche i consumi dei prodotti animali nascosti e le forme di sfruttamento meno palesi e più subdole ha la sua importanza. E’ necessario però fare le giuste distinzioni basate sulla ragionevolezza, evitando di mostrare il veganismo come estremamente difficile o impraticabile per qualcosa che non fa davvero la differenza per gli animali.

 

Approfondimento: https://agirebene.blogspot.com/2024/07/sfruttamento-e-crudelta-nascoste.html