Discriminare significa considerare e trattare in modo differente gli individui per una motivazione arbitraria o, più precisamente, significa attribuire senza giustificazione minori diritti morali e minor valore etico ad alcuni individui rispetto agli altri in base alla loro appartenenza ad una categoria o al possesso di determinate caratteristiche. L’antispecismo è l’opposizione allo specismo, la discriminazione degli individui in base alla loro specie.
C’è chi sostiene che l’antispecismo debba comprendere l’opposizione a tutte le discriminazioni, includendo quindi quelle verso esseri umani appartenenti a certe categorie, e che non si possa essere contrari allo specismo senza essere anche contrari al razzismo, al sessismo e ad altre discriminazioni come la transfobia, la xenofobia, l’abilismo e l’omofobia. Secondo chi sostiene questa idea, chiamata antispecismo intersezionale, lo specismo sarebbe alla base di tutte le discriminazioni, trasformandolo di fatto in un termine ombrello. Per progredire significativamente nel superamento di una qualsiasi discriminazione, sarebbe necessario progredire, allo stesso tempo, nel superamento di tutte le altre. Mancano però le evidenze a sostegno di questa tesi e le argomentazioni non reggono.
Essere contrari allo specismo non significa opporsi a tutte le discriminazioni ed essere contro le discriminazioni in generale non significa dover unire tra loro, né nella teoria né nella pratica, l’opposizione nei confronti di diverse discriminazioni.
Lo specismo è senza dubbio la discriminazione più grave per quanto riguarda la diffusione, la gravità e la sottovalutazione delle violenze perpetrate. Grazie allo specismo alle vittime di questa discriminazione vengono riservati i trattamenti peggiori e sono anche gli individui a cui vengono riconosciuti il minore valore etico e i minori diritti morali. Lo specismo è legato a proprie dinamiche sociali, particolarmente gravi e radicate nella società, che non riguardano nessun’altra discriminazione, prima fra tutte: l’ideologia dominante secondo cui non c’è nulla di sbagliato nell’usare gli animali per gli interessi umani, siano essi alimentari, per esperimenti, indumenti, intrattenimento o per altri scopi. Questa ideologia o mentalità ha generato e alimentato lo specismo; si tratta del fattore principale che contribuisce a rendere quella verso i non umani una discriminazione tanto diffusa.
E’ chiaro che la maggior parte delle persone che si oppongono alle discriminazioni verso esseri umani appartenenti a certe categorie, abbracciando ad esempio l’anti-sessismo o l’anti-razzismo, sono specisti tanto quanto chi li discrimina. Perché allora non dovrebbero esistere persone antispeciste discriminanti verso gli esseri umani sulla base dell’appartenenza a certe categorie? Gli antispecisti che discriminano umani appartenenti ad alcune categorie sono forse meno antispecisti di chi non li discrimina? Non c’è ragione di crederlo.
Certo che è possibile essere antispecisti e al contempo discriminare umani con determinate caratteristiche o sulla base dell’appartenenza ad una categoria! Non c’è contraddizione perché non si tratta di specismo. Nessuna delle categorie con cui è possibile distinguere gli esseri umani è una specie.
Peraltro, non si può escludere che le stesse persone a favore dell’antispecismo intersezionale stiano in realtà discriminando esseri umani appartenenti ad una qualche categoria senza rendersene conto. Non si può avere la certezza di aver finalmente riconosciuto tutte le discriminazioni. In questo senso non è possibile “opporsi a tutte le discriminazioni” perché ci può sempre essere qualche categoria di individui discriminati, e qualche dinamica discriminatoria, di cui non ci rendiamo conto e che applichiamo anche se siamo contrari alle discriminazioni in generale.
Non si possono distinguere le persone tra discriminanti o non discriminanti. Esistono innumerevoli sfumature intermedie. Quando si comprende meglio qualcosa non si ottiene automaticamente chiarezza su tutto il resto. Quando si diventa consapevoli di una ingiustizia la cosa non si estende automaticamente a tutte le altre. La mente umana non funziona così. L’inconscio è complesso. Le sensibilità, l’intelligenza, il vissuto individuale, sono complessi e variegati. Questo, ovviamente, vale anche quando si parla di antispecismo. Perché distorcere il significato di questa parola?
Non di rado, chi sostiene che l’antispecismo debba essere intersezionale reputa meno grave l’atto di mangiare animali rispetto a quello di discriminare umani appartenenti a certe categorie. È forse più grave il secondo rispetto al primo? Chiaramente no, non per un antispecista.
Se mai, in molti casi, è più facile capire e contrastare le discriminazioni verso gli umani rispetto allo specismo, questo sì, ma anche per queste discriminazioni esistono contesti in cui le persone sono soggette a condizionamenti altrettanto forti, sebbene circoscritti.
Questa distinzione non viene fatta; questo tipo di eccezioni non vengono contemplate né accettate.
Allora non si tratta di questo. È che, ancora una volta, i non umani vengono considerati meno importanti. Ancora una volta alla loro vita viene attribuito meno valore, perciò discriminare gli individui perché non umani, addirittura imprigionandoli, torturandoli, uccidendoli e usandoli come oggetti, viene considerata una discriminazione meno grave di altre in cui la gravità delle violenze è nettamente inferiore.
Accomunare la discriminazione e le ingiustizie verso i non umani a quelle verso gli umani significa sminuire la gravità delle ingiustizie verso i non umani.
Non è che ogni movimento debba per forza riguardare anche gli esseri umani. I non umani hanno bisogno di un movimento che si batta esclusivamente per loro. L’antispecismo può e deve essere portato avanti senza fonderlo ad altri movimenti. Superare l’antropocentrismo significa anche comprendere che gli interessi umani, anche quando giusti, non devono per forza essere l’obbiettivo di tutti i movimenti.
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