
L’uso contestuale e strumentale di un argomento o di una posizione estranei al veganismo lo si fa per sostenere la causa vegan o per salvare animali, senza affermare (o far intendere) che essere vegan implichi qualcos’altro. Alcuni esempi di uso contestuale e strumentale sono:
“Gli esseri umani possono escludere i prodotti di origine animale dalla loro alimentazione senza subire danni alla propria salute ma anzi riducendo il rischio di svariate malattie.”
Oppure:
“L’industria della pelliccia costituisce un pericolo per la salute umana e per l’ambiente.”
Invece, unire e confondere gli argomenti e le posizioni non corrisponde al mero uso contestuale e strumentale ma appunto ad una fusione del veganismo con posizioni e argomenti estranei ad esso, che ne inquinano e ne distorcono il significato. Alcuni esempi di unione e confusione sono:
“Non puoi essere vegan senza essere anche ambientalista.”
Oppure:
“Il salutismo fa parte del veganismo.”
Un argomento può essere del tutto non pertinente al veganismo, o esserlo in parte, ma se non gli appartiene non va unito o confuso con esso.
E’ anche importante considerare il tipo di idee usate in supporto al veganismo, la loro coerenza logica, la loro oggettività e aderenza alla realtà, e il modo in cui vengono percepite.
Ciò non significa che sia sempre dannoso o sbagliato utilizzare argomentazioni che non appartengono al veganismo contestualmente alle argomentazioni vegane e in modo strumentale allo scopo di salvare animali. Anzi, può essere utile e importante farlo, purché però non si lasci intendere che appartengano al veganismo, non si sostengano posizioni talmente controverse da creare più danni che benefici agli animali (come ad esempio idee che mettono il veganismo in cattiva luce o che creano fazioni e divisioni interne), e purché si tratti di informazioni scientificamente fondate e affrontate in modo logico e razionale. Altrimenti diventa appunto una strategia controproducente per gli animali.
Il veganismo non determina alcuna posizione (favorevole o contraria) su alcuna delle idee e dei movimenti di seguito elencati.
ALIMENTAZIONE
Spesso si pensa erroneamente che il veganismo sia un tipo di alimentazione. Nonostante quello del cibo sia l’aspetto più evidente, su cui ci sono maggiori cambiamenti da fare quando si diventa vegani, nonché maggiori resistenze da parte dei non vegani, e sia anche l’ambito in cui vengono sfruttati e uccisi più animali in assoluto, il veganismo non è un tipo di alimentazione. L’alimentazione 100% vegetale è solo una conseguenza (benché imprescindibile) del veganismo che è invece la contrarietà allo sfruttamento e alla crudeltà sugli animali (non umani), e che dal punto di vista pratico non si limita all’alimentazione ma si applica anche all’abbigliamento, all’intrattenimento, alla scelta di prodotti non testati su animali, e a qualsiasi altro ambito dove c’è sfruttamento e/o crudeltà su animali. Non è sbagliato parlare di alimentazione nell’ambito del veganismo, anzi in certi contesti è utile e importante farlo perché permette di rendere questa scelta più facile e sostenibile attraverso la smentita dei falsi miti e la diffusione di conoscenza sugli aspetti nutrizionali rilevanti, purché però si diffondano informazioni scientificamente fondate e non si lasci intendere che il veganismo sia un tipo di alimentazione.
Descrivere il veganismo come un tipo di alimentazione è dannoso per gli animali soprattutto perché favorisce la tendenza delle persone che seguono un’alimentazione 100% vegetale (ma che non sono contrarie allo sfruttamento e alla crudeltà sugli animali) a dirsi vegane nonostante partecipino ad altre forme di sfruttamento degli animali, ad esempio attraverso l’acquisto e l’utilizzo di capi in pelle, lana, piume o pelliccia. Spesso queste persone dopo un po’ di tempo ricominciano a mangiare prodotti animali affermando che essere vegan non fa per loro, che è difficile, che è troppo restrittivo e che non è una scelta adatta a tutti, facendo affermazioni infondate e dannose per la diffusione del veganismo e cercando di convincere gli altri che sono state costrette a ricominciare a mangiare prodotti animali, e che infondo consumare prodotti animali non è moralmente sbagliato. Ciò accade di frequente in questi casi. Queste testimonianze, per altro, fanno credere che esista un numero più alto di quello reale di vegani che dopo un po’ riprende a consumare prodotti animali.
Diete, disturbi alimentari
L’alimentazione vegan può essere adattata ad ogni tipo di dieta, come: diete dimagranti o per sportivi, per l’aumento della massa grassa, della massa muscolare o qualunque altro tipo di dieta. Ma il veganismo di per sé, ovviamente, non c’entra nulla con qualunque tipologia di dieta. Purtroppo esistono anche persone che affermano di essere vegane solo per nascondere un disturbo alimentare. Ma non si deve fare confusione. Non che una persona con disturbi alimentari non possa essere vegana, ma questi non c’entrano nulla col veganismo. A volte si accusano i vegani di soffrire di ortoressia, un disturbo alimentare che si manifesta con un’attenzione e selezione ossessiva degli alimenti in base alla loro qualità, ma si tratta solo di una becera tattica per denigrare il veganismo, svalutarne l’importanza e negarne il vero significato.
Confondere il veganismo con le diete o con i disturbi alimentari è dannoso per gli animali soprattutto perché svaluta completamente l’importanza che hanno per gli animali le proprie esperienze e la propria vita, e svaluta l’ingiustizia del loro sfruttamento e della crudeltà verso di loro. Trattare il veganismo al pari di una dieta ne trivializza fortemente il significato, e fa sì che le persone lo vedano come una moda, qualcosa di superficiale e di finalizzato ad interessi umani, oltre che qualcosa di non sostenibile per lunghi periodi. Associare il veganismo ai disturbi alimentari lo fa percepire come qualcosa di inaffidabile e pericoloso per la salute, risvegliando quei dubbi e quelle paure, ancora molto diffuse nella società, sulla salubrità e sostenibilità dell’alimentazione 100% vegetale per la salute umana.
Allergie, intolleranze, dieta senza glutine, dieta senza soia
L’alimentazione vegetale può essere adattata a qualsiasi condizione di allergia e intolleranza alimentare, inclusa la celiachia. Non esistono condizioni che rendano impossibile seguire un'alimentazione 100% vegetale. Tuttavia chiaramente i vegani non escludono certi “prodotti” perché ne sono intolleranti o allergici. Il veganismo non è un tipo di alimentazione ma una posizione etica di rispetto e di decenza morale verso gli animali che tutti dovrebbero avere. L’alimentazione senza glutine è un tipo di alimentazione adatta a persone allergiche al glutine, mentre quella senza soia è un tipo di alimentazione adatta a chi ha un’allergia alla soia. Queste ultime sono per altro diventate dei trend legati a fake news e teorie pseudoscientifiche sulla pericolosità del glutine e della soia per la salute umana. Tutto questo non ha nulla a che vedere con il veganismo.
Associare il veganismo alle allergie, alle intolleranze, alla dieta senza glutine o a quella senza soia è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a sminuire e trascurare l’aspetto etico, fa sembrare l’alimentazione 100% vegetale come un’alternativa di nicchia, per persone appunto con intolleranze o allergie alimentari, o in alcuni casi, per persone con teorie strampalate sull’alimentazione e sulla salute. Una condizione di rinuncia e di privazione, che richiede impegno e sacrificio, qualcosa di indesiderabile e da non prendere personalmente in considerazione.
Alimentazione vegetariana, flexitariana, pescetariana, reducetariana, diete plant based
Un certo numero di persone sceglie un’alimentazione priva di carne con l’intenzione (e l’illusione) di non fare più del male agli animali, pur continuando a consumare latte, uova e miele, oltre che continuando a sostenere lo sfruttamento degli animali in altri ambiti, come attraverso l’acquisto di lana, o piume, o andando al circo con animali. I vegetariani possono essere avvantaggiati a fare la scelta vegan dal punto di vista pratico, o rivelare una maggiore apertura a diventare vegan, ma si tratta pur sempre esclusivamente di un tipo di alimentazione. Infatti una parte delle persone che sceglie un’alimentazione vegetariana lo fa per motivi estranei al rispetto degli animali, proprio come avviene nel caso delle cosiddette alimentazioni flexitariane, reducetariane e pescetariane, che quasi mai vengono realmente adottate con l’intento di non fare del male agli animali. Non si deve confondere l’alimentazione vegetariana con il veganismo, né pensare che siano scelte simili, perché in realtà si tratta di due cose ben diverse. Il veganismo non è una scelta alimentare e non andrebbe nemmeno confuso con una dieta plant based, che può essere intrapresa per qualunque motivo estraneo ai diritti degli animali (fra l’altro, in questi casi, spesso viene abbandonata dopo un po’ di tempo). C’è ancora chi crede che al nostro organismo serva un periodo di transizione graduale verso un'alimentazione 100% vegetale, ma questo è falso. Anche dal punto di vista mentale è preferibile passare direttamente a vegan senza fare passaggi graduali o intermedi.
E’ vero che la riduzione del consumo di prodotti animali, anche senza eliminarli del tutto, risparmia vittime animali (tante persone che riducono il loro consumo di prodotti animali possono risparmiare più animali rispetto a poche persone che lo eliminano del tutto) ma associare il reducetarianismo ai diritti animali o al veganismo trasmette il messaggio che agli animali non vadano riconosciuti diritti fondamentali, che non siano così importanti, che le eccezioni al veganismo e lo sfruttamento degli animali con moderazione siano scelte moralmente accettabili. Tutto questo non fa altro che compiacere il desiderio delle persone di sentirsi giustificate per il fatto di non essere vegane e di considerare lo sfruttamento animale accettabile; dà un messaggio sbagliato, che non aiuta a comprendere le proprie responsabilità né l’ingiustizia dello sfruttamento animale, compromettendo l’efficacia dell’attivismo e danneggiando il movimento vegan.
Fare appelli per la riduzione del consumo di prodotti animali può essere una strategia efficace quando si parla di salute e ambiente, non di diritti degli animali. In definitiva l’esistenza di queste categorie (vegetariano, pescetariano, flexitariano, reducetariano) probabilmente sono più un danno che un aiuto agli animali e alla causa vegan.
Associare il veganismo all’alimentazione vegetariana, a quella flexitariana, a quella pescetariana, a quella reducetariana, o alle diete plant based è dannoso per gli animali soprattutto perché ne svaluta l’importanza e l’urgenza, negandone l’obbligatorietà morale, e validando l’idea che il veganismo sia “un percorso che ognuno deve fare con i suoi tempi”, che tutti questi tipi di alimentazione siano qualcosa di positivo per gli animali, vie di mezzo eticamente sufficienti, accettabili o addirittura virtuose, in realtà utili più che altro ad esibire una falsa virtuosità e a placare la coscienza di molte persone in modo illusorio, sostanzialmente giustificando la scelta di continuare ad essere responsabili di crudeltà e sfruttamento di animali.
Crudismo, fruttarismo, digiuno, igienismo, macrobiotica
Dal momento che il veganismo esclude alcuni “prodotti” comunemente consumati dagli esseri umani, a volte si pensa che la scelta vegan sia un gradino su una scala di stili alimentari progressivamente restrittivi. Gli step successivi sarebbero il crudismo vegetale e il fruttarismo. In realtà il veganismo non c’entra assolutamente nulla con il crudismo o con il fruttarismo, né con la pratica del digiuno. Certamente si può essere vegani e al tempo stesso seguire un’alimentazione crudista o fruttariana, e/o praticare i digiuni, o credere alla macrobiotica o all’igienismo, ma non è necessario essere vegani per fare tutto ciò. Una persona crudista non è necessariamente vegana, né una persona fruttariana lo è. Contrariamente al veganismo, si tratta di regimi alimentari che non implicano in nessun modo la scelta vegan, ma che riguardano invece una certa idea di salute o di naturalità. Oltre al danno agli animali dovuto alla confusione che si crea sul significato del veganismo, è importante fare attenzione anche ai pericoli per la salute umana di stili alimentari e altre pratiche basate su teorie che non sono sostenute da evidenze scientifiche. Alcune persone che seguono diete restrittive come il crudismo e il fruttarismo non di rado dopo un po’ di tempo manifestano problemi a causa della loro alimentazione, fra cui un eccessivo dimagrimento, mancanza di forza fisica, ridotta capacità di concentrazione e a volte anche insoddisfazione, o problemi di tipo pratico, finendo poi per dare la colpa alla scelta vegan.
Associare il veganismo all’alimentazione crudista, a quella fruttariana o alla pratica del digiuno è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distogliere l’attenzione dallo sfruttamento degli animali, fa sembrare la scelta vegan come non sana e fortemente proibitiva, o come parte di un bizzarro e assurdo processo che porta ad un tipo di alimentazione estremamente restrittivo, nonché fortemente pericoloso per la salute: un passo su una china scivolosa verso l’eliminazione progressiva di qualunque tipo di alimento. Associare il veganismo all’igienismo o alla macrobiotica è dannoso per gli animali soprattutto perché mina gravemente la credibilità del fatto che gli esseri umani possono eliminare i prodotti animali dalla propria alimentazione ed essere in salute. Inoltre fa sembrare il veganismo come qualcosa di settario e pericoloso in quanto basato su teorie non scientificamente fondate.
SALUTE E AMBIENTE
Se le vittime della schiavitù animale fossero umane difficilmente si parlerebbe dell’impatto ambientale di una simile ingiustizia, o degli effetti negativi sulla salute dei carnefici. Ma con gli animali non siamo ancora a quel punto, e non ci arriveremo più facilmente facendo finta che sia già così. Parlare dell’impatto su salute e ambiente può contribuire a creare un effetto varco per l’ingresso di una cultura del rispetto degli animali nella società attraverso la progressiva diffusione di uno stile di consumo senza prodotti animali. Gli effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente ci sono, e sono notevoli. E’ giusto parlarne. Bisogna fare i conti con la realtà: alla maggior parte degli esseri umani non interessa degli animali ma di loro stessi (e al limite, secondariamente, di altri esseri umani). Anche se sembra di danneggiare gli animali svalutandone l’importanza, parlare dell’impatto sulla salute e sull’ambiente può dare un contributo notevole al salvataggio degli animali. E’ utile parlare dell’impatto degli allevamenti su salute e ambiente, purché non si lasci intendere che il veganismo si basa su questi temi, e purché si facciano soltanto affermazioni scientificamente fondate in merito. Serve però sottolineare e ribadire che il veganismo non riguarda la salute e l’ambiente perché questi temi hanno preso troppo piede nel movimento, fino al punto che vegani e non vegani fraintendono il significato del veganismo, e questo sì, è un danno agli animali. Comunque, se la scelta giusta sia quella di parlare di salute e ambiente oppure no dipende dalle circostanze.
Descrivere la salute e l’ambiente come tematiche e motivazioni appartenenti al veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a confondere e distorcere il significato del veganismo e a rimuovere il focus dagli animali svalutando l’ingiustizia del loro sfruttamento e della crudeltà verso di loro, induce le persone a dirsi vegane per motivi ambientali o di salute. Essendo queste motivazioni meno forti, meno categoriche e non moralmente vincolanti, capita spesso che dopo un po’ di tempo queste persone ricomincino a consumare prodotti animali affermando che non potevano più essere vegan, che era troppo difficile, che non si sentivano a proprio agio, che non è doveroso esserlo ecc.. Inoltre questa interpretazione del veganismo apre la strada ai più disparati criteri di selezione dei consumi, a volte insostenibili o di difficile applicazione, a volte infondati o persino controproducenti per l'ambiente e per la salute, facendo sembrare il veganismo irrazionale e molto più difficile di quanto non sia in realtà, dissuadendo così le persone dal fare questa scelta.
Attivismo climatico
Negli ultimi tempi sono aumentate le preoccupazioni sui danni dei cambiamenti climatici, e si sono formati svariati gruppi e associazioni che cercano di fare qualcosa per tentare di fermarli. Allo stesso tempo si sono diffuse informazioni sul legame tra il consumo di prodotti animali e i cambiamenti climatici, tanto da essere riconosciuto pubblicamente anche dalle maggiori associazioni ambientaliste oltre che dalla comunità scientifica. Ora se ne parla non solo online, ma anche su reti televisive nazionali. Tutto ciò sta portando sempre più ad associare la scelta vegan alla lotta ai cambiamenti climatici e ha rafforzato l’interpretazione errata del veganismo come stile alimentare (o al limite come stile di vita) che può essere intrapreso per motivi ambientali.
Confondere il veganismo con la lotta ai cambiamenti climatici è dannoso per gli animali soprattutto perché distorce il suo significato, sminuendo l’importanza dei diritti animali e la gravità delle ingiustizie verso gli animali.
Zucchero, additivi artificiali, cibi raffinati, industriali, elaborati
Dovrebbe essere ovvio che uno stile di vita salutare, che prevede la riduzione o l’evitamento di cibi raffinati, industriali, elaborati ecc, non c’entra nulla con la scelta di smettere di partecipare allo sfruttamento degli animali. Invece ci sono persone, vegane e non, che credono che mangiare vegano significhi necessariamente mangiare sano, e quindi abbiamo due fraintendimenti in uno: che il veganismo sia un tipo di alimentazione e che debba seguire determinate regole relative all’impatto sulla propria salute. Non di rado, per altro, si tratta di regole molto rigide. Questo fraintendimento è probabilmente uno dei motivi per cui le alternative vegane nei supermercati, a differenza delle versioni non vegane, sono spesso bio e integrali. Questo contribuisce a far percepire l’alimentazione vegana come più restrittiva, più costosa e meno gustosa. E’ un bene che i vegani prestino attenzione alla propria salute, anche perché questo ha indirettamente un effetto sugli animali, ma: 1. Ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole della propria vita e non è giusto sindacare sul comportamento degli altri in merito alla propria salute, anche perché non conosciamo nulla della vita degli altri. 2. Non è che per essere in salute siano solo i vegani a dover stare attenti ad alcune cose, ma anche i non vegani. 3. Non di rado si tratta di idee salutiste esagerate o errate che possono anche portare ad un effetto opposto sulla salute e sul benessere delle persone. 4. È dannoso per gli animali inquinare il significato del veganismo.
Includere la riduzione o l’eliminazione dello zucchero, di additivi artificiali, di cibi raffinati, industriali ed elaborati nell’aspetto pratico del veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distogliere l’attenzione dagli animali sminuendo la gravità del loro sfruttamento, fa sembrare la scelta vegan molto più difficile di quanto non sia in realtà dal momento che con anche solo uno di questi criteri, la selezione dei prodotti si ridurrebbe fortemente.
Eco, bio, locale, di stagione, a km0, zero waste, autoproduzione, greenwashing
C’è chi sostiene (erroneamente) che per essere vegan un prodotto debba essere biologico, ecologico, locale, plastic-free e via dicendo, per motivazioni legate all’impatto ambientale, includendo gli effetti negativi sugli animali selvatici. Per quanto riguarda l’impatto sugli esseri umani, dovrebbe essere chiaro perché il veganismo non c’entra, ovvero perché non riguarda gli esseri umani e non è finalizzato ai loro interessi. Per quanto riguarda invece l’impatto sugli animali selvatici potrebbe essere meno chiaro capire perché è sbagliato intendere la scelta vegan in questo modo. Non si può negare che qualunque scelta che sia di minore impatto sugli animali selvatici sia preferibile ma ci sono diversi motivi per cui l’impatto ambientale non può essere un criterio che fa parte del veganismo, a cominciare dal fatto che essere vegan diventerebbe molto più difficile, talvolta impossibile, e questa difficoltà si riverserebbe sicuramente sul numero delle persone disposte a diventare vegan, dissuadendole da questa scelta e quindi creando un effetto gravemente controproducente sugli animali, senza contare che sono proprio i prodotti di origine animale ad avere il maggiore impatto ambientale. Cercare di avere il minore impatto ambientale possibile è un criterio molto vago e aprirebbe ad interpretazioni differenti della scelta vegan, incluse quelle più estreme come l’idea che il veganismo debba basarsi sull’autoproduzione, sul recupero e sul riutilizzo di rifiuti, sull’evitamento dell’automobile e di altri mezzi di trasporto, sull’evitamento dell’energia elettrica o di qualsiasi tipo di consumo fondamentale. Inoltre, gran parte dei danni agli animali selvatici dovuti ai prodotti vegan sono attualmente inevitabili e difficilmente tutto questo può essere definito come sfruttamento degli animali o crudeltà verso di loro. La scelta di fare i propri acquisti in base a questi parametri è certamente compatibile col veganismo, ma descriverli come parte del veganismo stesso è senza dubbio dannoso per gli animali. C’è anche chi sostiene (ahimè persino tra i vegani) che le alternative vegetali che stanno uscendo sul mercato siano qualcosa di paragonabile al greenwashing, cioè illusorio, inutile e addirittura dannoso per il veganismo. Ma questo è certamente falso. I prodotti vegani alternativi a quelli con ingredienti animali oggi disponibili nella ristorazione e nella grande distribuzione costituisce un importante tassello nella liberazione animale e di fatto salva animali invogliando le persone a diventare vegane, rendendo più facile la scelta vegan, normalizzando il consumo dei prodotti in versione vegetale e contribuendo a ridurre il consumo di prodotti animali.
Confondere i prodotti vegan con il greenwashing e associare il veganismo all’ecologico, al biologico, al locale e di stagione, al km0, allo zero waste e all’autoproduzione è dannoso per gli animali soprattutto perché fa sembrare la scelta vegan molto più difficile, più costosa e più limitata di quanto non sia in realtà.
Agricoltura naturale, biologica, biodinamica, permacultura, OGM
Contrariamente a quanto si crede, l’agricoltura biologica, così come quella biodinamica, la permacultura e altre tipologie di agricoltura alternative, non sono tanto migliori rispetto a quella convenzionale. Ad esempio, in proporzione, in agricoltura biologica più spesso vengono usati insetti d’allevamento per contrastare i parassiti delle piante a causa delle limitazioni sull’uso dei pesticidi. Inoltre in questi tipi di agricoltura ad oggi l'impiego di scarti animali è una pratica molto diffusa, mentre in agricoltura convenzionale vengono utilizzati meno frequentemente. Inoltre l’agricoltura biologica e gli altri tipi di agricoltura alternativi, sono meno efficienti rispetto a quella convenzionale e necessitano quindi di una maggiore disponibilità di terreno e di altre risorse. Se i prodotti vegetali attualmente consumati derivassero tutti da agricoltura biologica, da permacultura e da altri metodi agricoli alternativi, probabilmente l’impatto ambientale complessivo sarebbe persino maggiore di quello attuale (non sarebbe nemmeno attuabile senza una drastica riduzione del consumo di prodotti animali). Non tutto ciò che è “più naturale” è necessariamente preferibile, anche dal punto di vista della salute dei consumatori: le differenze nutrizionali sono scarse, e l'impatto sulla salute a lungo termine non è ancora dimostrato. Ma anche se non fosse così, l’agricoltura biologica, o qualsiasi metodo di coltivazione, non c’entrerebbe comunque nulla col veganismo che riguarda invece i diritti degli animali e non i metodi agricoli, né la salute umana o il rapporto degli esseri umani con l’ambiente. E’ importante cercare di ridurre al minimo anche l’impatto indiretto sugli animali, ma non è del tutto fattibile purtroppo. Una volta diffusa una cultura del rispetto degli animali, probabilmente sarà molto più facile convincere gli esseri umani a tentare di ridurre l’impatto negativo dell’agricoltura e di qualsiasi altro intervento umano sugli animali selvatici. Se invece il veganismo viene associato a pratiche per la riduzione dell’impatto ambientale (tra l’altro ad oggi per nulla soddisfacenti) si crea solo un intralcio alla diffusione del veganismo. In questo modo, per così dire, la ricerca del meglio diventerebbe nemica del bene. L’agricoltura biologica e la permacultura, benché includano alcune pratiche con una base scientifica riconosciuta, non si fondano su evidenze scientifiche, e così anche l’agricoltura biodinamica, la quale però è particolarmente irrazionale e basata su idee legate alla fede e alle cosiddette filosofie esoteriche. Anche l’idea infondata che gli OGM (per altro esclusi dall’agricoltura biologica) siano pericolosi o inevitabilmente dannosi per la salute e per l’ambiente, è erroneamente associata al veganismo, soprattutto per via della concezione, altrettanto falsa, che la ricerca della naturalità sia parte della scelta vegan. Il veganismo non è incompatibile con l’agricoltura biologica, quella naturale, biodinamica, né con la permacultura o con la contrarietà agli OGM, ma tutto questo non c’entra col veganismo.
Associare al veganismo l’agricoltura naturale, l’agricoltura biologica, quella biodinamica, la permacultura, la contrarietà agli OGM e all’agricoltura convenzionale, è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a rafforzare l’idea erronea del veganismo come ricerca della naturalità, fa sembrare la scelta vegan molto più difficile e limitata di quanto non sia in realtà, nonché una scelta di nicchia. Inoltre rischia di far sembrare il veganismo irrazionale e infondato.
Medicine alternative, contrarietà alla medicina convenzionale
Il veganismo viene troppo spesso associato alle medicine alternative e alla contrarietà nei confronti della medicina convenzionale. Questo potrebbe essere dovuto a diversi fattori. Uno è quello della ricerca e della fede nella naturalità, già erroneamente associata al veganismo. Un altro è l’opposizione alla vivisezione in cui è coinvolta la medicina convenzionale, benché il problema per gli animali non sia la medicina convenzionale in sé (non è la scienza a danneggiare gli animali ma gli esseri umani, l’industria farmaceutica non ha davvero bisogno di usare animali negli esperimenti per esistere e per funzionare bene, nonostante lo faccia, tutt’altro), senza contare che anche i rimedi e i prodotti delle medicine alternative possono essere testati su animali. Un altro fattore è forse una certa sfiducia verso la società e le istituzione che, benché comprensibile a livello umano, non dovrebbe portare a critiche cieche, a generalizzazioni esagerate, e a credere automaticamente alle alternative. E soprattutto non si dovrebbe associare la scelta vegan a cose che non c’entrano. Alcune medicine alternative, come l’ayurveda e la naturopatia potrebbero includere alcune pratiche e rimedi con una base scientifica riconosciuta ma sono comunque in larga misura non sostenute da evidenze scientifiche e basate su concetti non riconosciuti dalla scienza moderna. Potrebbero comunque portare qualche vantaggio per la salute, come l’effetto placebo, ma in caso di reale necessità non dovrebbero mai sostituire la medicina convenzionale. Le medicine alternative non sono incompatibili con la scelta vegan, ma il veganismo non include aspetti medici o inerenti la salute umana. Le discipline non scientificamente fondate, soprattutto in ambito medico, non dovrebbero mai essere sostenute in associazione al veganismo.
Associare al veganismo le medicine alternative e la contrarietà alla medicina convenzionale è dannoso per gli animali soprattutto perché rischia di far sembrare il veganismo come qualcosa di irrazionale, inaffidabile e di pericoloso per la salute.
STILI DI VITA
Si parla spesso di veganismo come di uno stile di vita. La stessa Vegan Society ad oggi definisce il veganismo come una filosofia e uno stile di vita. Questo non è del tutto sbagliato, ma forse sarebbe più corretto parlare di un 'aspetto teorico' e di 'uno pratico' del veganismo, perché le parole 'filosofia' e 'stile di vita' fanno pensare a qualcosa di personale, di opzionale, di complicato e di eccentrico, e non ad una semplice scelta di decenza morale verso gli animali che dovrebbe essere ovvia e normale, e che tutti dovrebbero compiere. E’ pur vero che persino la stessa parola 'vegan' non dovrebbe esistere perché dovrebbe essere semplicemente la normalità e non una cosa in qualche modo diversa, un’alternativa da identificare. Purtroppo il veganismo non è ancora così comune, per cui ad oggi questa parola ci serve eccome. Invece, descrivere la scelta vegan come una filosofia e uno stile di vita non è altrettanto necessario. Pertanto potremmo anche fare un passo avanti e smettere di usare questi termini per descrivere il veganismo.
Descrivere il veganismo come una filosofia e uno stile di vita può essere dannoso per gli animali soprattutto perché tende a sminuirne l’obbligatorietà morale, e può limitare la persuasione verso le persone a prendere seriamente in considerazione l'idea di diventare vegan.
Minimalismo
Come di solito accade per quelli che vengono chiamati 'stili di vita', e contrariamente al veganismo, lo stile di vita minimalista viene adottato principalmente per il proprio benessere. Il minimalismo viene talvolta (erroneamente) associato al veganismo, forse un po’ perché alcuni vegani tendono a voler consumare di meno, e a cercare di avere un minore impatto sull’ambiente, allo scopo di non nuocere agli animali, ma soprattutto perché alcune persone vedono nel veganismo (come nel minimalismo) un modo per ottenere una certa soddisfazione nel sapere di poter fare a meno di qualcosa (a prescindere dallo sfruttamento degli animali) un senso di indipendenza, di potere, di controllo su se stessi, quindi di maggiore sicurezza, e anche di autostima per gli obiettivi raggiunti. L’idea che “di meno è di più” significa che riuscire a fare a meno di qualcosa sia da considerare come un vantaggio. Nel minimalismo l’attenzione è fondamentalmente rivolta ai benefici personali, incluso il risparmio di tempo, di energia e di denaro, la valorizzazione di ciò che si possiede, l’organizzazione, l’ordine, l’efficienza, la salute, la chiarezza mentale, il senso di indipendenza ecc.. A volte si ricade in una sorta di perfezionismo che consiste nel cercare di fare a meno di tutto, di eliminare ed evitare ogni cosa puntando all’essenzialità. A volte i minimalisti fraintendono il significato del veganismo e iniziano a considerare le due cose allo stesso modo anche dal punto di vista del rapporto con gli altri. In quanto stile di vita finalizzato al proprio benessere, sostengono (giustamente) che sia sbagliato cercare di convincere chi non è minimalista a diventarlo. La stessa logica e lo stesso approccio lo applicano al veganismo, e questo è chiaramente sbagliato perché il veganismo non è uno stile di vita finalizzato al proprio benessere ma un dovere morale basato sul rispetto degli animali. Certamente si può essere minimalisti e al tempo stesso vegani ma è importante fare le giuste distinzioni.
Includere il minimalismo nel veganismo o confondere le due cose è dannoso per gli animali soprattutto perché fa apparire il veganismo come finalizzato ad un vantaggio personale, non moralmente doveroso ed escludente qualsiasi tipologia di consumo, creando un effetto dissuasivo oltre che di distorsione del suo significato.
Naturismo, scalzismo
Il naturismo e lo scalzismo vengono a volte (erroneamente) associati al veganismo forse a causa della falsa associazione tra il veganismo e il concetto di naturalità, per cui molti vegani ricercano un contatto diretto con l’ambiente e uno stile di vita più naturale e in armonia con la natura. L'associazione col veganismo avviene anche attraverso la ricerca di autenticità da parte di naturisti e scalzisti, e attraverso l’idea che essendo animali, per noi umani vivere in modo più simile agli animali delle altre specie (nudi e scalzi) non sia qualcosa di negativo ma positivo perché più autentico. Forse in tutto ciò gioca un ruolo anche un certo anticonformismo per il quale si tende ad avere pregiudizi negativi verso tutto ciò che è convenzionale, e a giudicare positivamente tutto ciò che è anticonvenzionale, arrivando in alcuni casi ad ignorare che se un’idea è diffusa e popolare non significa necessariamente che sia sbagliata. Certamente si può essere vegani e al tempo stesso naturisti e/o scalzisti, ma è importante non confondere le cose.
Associare il naturismo o lo scalzismo al veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, in una società come la nostra che non è né naturista né scalzista, fa sembrare particolarmente strani i vegani e allontana molte più persone di quante ne possa avvicinare.
Straight edge
Benché la filosofia straight edge sia poco diffusa e di nicchia anche tra i vegani, il veganismo appare popolare tra coloro che adottano questo stile di vita, i quali spesso confondono (più o meno intenzionalmente) le due cose. Anche l’alimentazione vegetariana e una certa attenzione alla salute e all’ambiente sono diffuse tra chi adotta lo stile di vita straight edge, il che è probabilmente uno dei motivi per cui il veganismo viene erroneamente associato a questa filosofia. Ci sono molti fraintendimenti sul significato del veganismo in questo ambito. Esiste anche un filone chiamato “vegan edge” che tenta di creare una correlazione ancora più esplicita tra lo straight edge e il veganismo. Non di rado, chi si identifica come straight edge e vegano afferma che, sul piano etico, il consumo di droghe e alcolici sia da considerare al pari del consumo di prodotti animali. Probabilmente lo straight edge viene associato al veganismo anche per via dei valori di autocontrollo, autodisciplina e responsabilità personale alla base di questo stile di vita, e per via di una certa "contrarietà all’oppressione" presente in questa filosofia, ma pur sempre in un clima di grande manipolazione e distorsione del significato del veganismo. Si può essere straight edge e vegani ma è importante distinguere bene le due cose.
Confondere la filosofia e lo stile di vita straight edge con il veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché sminuisce la gravità delle ingiustizie verso gli animali e crea confusione mettendo sullo stesso piano il consumo di sostanze psicotrope e la partecipazione allo sfruttamento degli animali; assimila il veganismo ad una specie di subcultura punk, qualcosa di alternativo, di estremista, di ribelle e a tratti violento (in nome della lotta alle droghe), nonché ad un trend, qualcosa di identitario e di legato ad altri temi (un determinato genere musicale, determinate posizioni politiche - per altro minoritarie, controverse, fortemente divisive e in contrasto fra loro quali fascismo e anarchismo). Inoltre allontana tutte quelle persone che non la pensano allo stesso modo, incluse quelle che fumano, che bevono alcolici e che in generale consumano sostanze psicotrope (per non parlare delle frange più estreme che reputano doveroso anche l’evitamento della caffeina e dei rapporti erotici occasionali).
Freeganismo
La parola ‘freegan’ viene dall'unione di 'free' e ‘vegan’ e nasce all’interno del movimento anarchico e anticonsumista. Il freeganismo è uno stile di vita legato fra l’altro al gruppo ‘FoodNotBombs', il quale propugna l’antimilitarismo, l’anticapitalismo e altre tematiche legate ad interessi umani e ad una certa ideologia politica; contrariamente a quello che si può pensare, FoodNotBombs non offre esclusivamente cibo vegano ma vegetariano: semplicemente ha tendenze vegane. Benché alcuni freegan sono per l’uso esclusivo di prodotti vegan (anche quando sono recuperati e non acquistati) molti consumano prodotti animali recuperati, sostenendo che “tanto non c’è incremento se non c'è acquisto”, mantenendo però così l’abitudine al consumo di prodotti animali, e limitando l’effetto innovativo del veganismo (primo fra tutti il contrasto alle incertezze e alle false idee sulla sostenibilità dell’alimentazione 100% vegetale per la salute umana) e portando indirettamente ad una legittimazione del consumo e dell’acquisto di prodotti animali, oltre che in generale dell’uso degli animali da parte degli esseri umani. Infatti spesso i freegan passano dal consumare prodotti animali recuperati a consumarne anche di aquistati. E’ possibile seguire uno stile di vita freegan e contemporaneamente essere vegan ma il freeganismo non ha nulla a che vedere col veganismo.
Associare il veganismo allo stile di vita freegan è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato, sminuendo i diritti degli animali, lo fa sembrare come qualcosa di altamente difficile da mettere in pratica, se non come qualcosa che ammette eccezioni sul consumo di prodotti animali (minando gravemente il veganismo sia come idea che come movimento). Inoltre fa apparire il veganismo come uno stile di vita alternativo, anticonformista ed estremo, nonché talvolta persino assurdo e disgustoso; comunque non desiderabile ed estremamente svantaggioso sia dal punto di vista pratico che sociale.
Ascetismo
L’associazione tra veganismo e ascetismo viene presentata forse più che altro nel tentativo di denigrare il veganismo da parte di chi non conosce e non si interessa a nessuna delle due cose. Tuttavia esistono davvero persone che associano il veganismo ad uno stile di vita ascetico, interpretandolo erroneamente come una forma di astinenza e abnegazione, e facendo leva su antiche dottrine spirituali e sulle idee di certi filosofi del passato. E’ possibile adottare uno stile di vita ascetico e al tempo stesso essere vegani, ma il veganismo non c’entra nulla con l’ascetismo, con la frugalità e con l’abnegazione.
Confondere l’ascetismo con il veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a farla apparire come una scelta folle, bizzarra, e fondamentalmente finalizzata ad interessi personali, la fa sembrare estremamente difficile, quasi inaccessibile e comunque indesiderabile: una scelta di rinuncia, di sofferenza e di sacrificio per pochi eletti, mistici ed eremiti.
Yoga, meditazione
Pratiche come lo yoga e la meditazione negli ultimi anni si sono diffuse non solo tra i vegani ma nella popolazione generale. Tuttavia esiste ancora il rischio che queste pratiche vengano associate in modo particolare al veganismo. Già il fatto che lo yoga prescrive un’alimentazione vegetariana rappresenta un punto di congiunzione tra questa pratica e il veganismo, soprattutto a causa della confusione esistente tra veganismo e alimentazione vegetariana. Non di rado questa fusione tra pratiche come lo yoga o la meditazione e la scelta vegan è accompagnata da molti fraintendimenti sul significato del veganismo, legati fra le altre cose ai concetti di purezza, compassione, salute e "armonia con la natura e con tutti gli esseri viventi”. Certamente si possono praticare lo yoga e la meditazione, credendo o meno negli aspetti religiosi e spirituali di queste discipline, e al tempo stesso essere vegan, ma è importante non fare confusione.
Associare lo yoga e la meditazione al veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché può far sembrare il veganismo come un trend basato sulla ricerca del benessere e sulla crescita personale con influenze spirituali e new age.
FEDE
Di tanto in tanto, benché sempre meno spesso, il veganismo viene erroneamente associato alla fede, alla spiritualità e alla religione. A volte si tratta solo di un modo per svalutare il veganismo e deresponsabilizzarsi, relegandolo a qualcosa di “fantasioso", di personale, di dogmatico e di fondamentalmente irrazionale. Altre volte invece si confonde l’etica con la fede, forse perché si ritene che l’etica sia sempre soggettiva, o forse perché si fa confusione dal momento che molto spesso culti, religioni, e dottrine spirituali includono dogmi morali. In ogni caso si tratta chiaramente di un’interpretazione sbagliata. Il veganismo non ha nulla a che vedere con questi temi, per cui non comporta alcuna idea o presa di posizione in merito (incluse la contrarietà alla fede e l’assenza di fede). E’ sbagliato confondere gli ambiti perché significherebbe fraintendere il veganismo e limitarne la diffusione.
Confondere il veganismo con la fede o includere in qualche modo questa tematica nel veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distogliere l’attenzione dal suo reale significato, allontana molte più persone di quante non ne possa avvicinare in quanto ha l’effetto di dissuadere tutti coloro che non condividono qualunque argomentazione sulla fede impropriamente associata al veganismo, dal prendere in considerazione l’idea di diventare vegan e di partecipare al movimento, essenzialmente facendogli perdere attrattiva e credibilità.
Ateismo
C’è chi sostiene che i vegani debbano essere dediti al pensiero razionale, scettico e basato sulle evidenze in ogni ambito della vita e della conoscenza, incluso quello esistenziale e quello conoscitivo, rifiutando così la fede nel divino, nelle religioni, nelle superstizioni, e nel pensiero mistico. Associano erroneamente queste cose al carnismo, all’antropocentrismo, e allo specismo sulla base della loro comune natura irrazionale e al comune approccio di indottrinamento diffuso nella società basato sull’autoillusione, sul non pensare con la propria testa e lasciarsi condizionare, o sul credere a qualcosa di inverosimile e infondato solo perché ci fa stare bene e preferiamo crederci. Ma il veganismo non riguarda la fede, la spiritualità e la religione, riguarda solo il modo in cui consideriamo e trattiamo gli animali. L’idea che gli animali esistano per essere usati dagli esseri umani, e che sia giustificato schiavizzarli ed essere crudeli verso di loro, non è solo “inverosimile” o “infondato” ma è chiaramente falso e soprattutto è eticamente sbagliato. Su questo la verità è accessibile e comprensibile per tutti. Non si trova in un ambito della realtà insondabile per gli esseri umani come ciò che è oggetto della fede. E’ assolutamente possibile essere razionali in questo aspetto etico, diventando vegan, e allo stesso tempo non esserlo per quanto riguarda la fede. Quello della fede è un ambito particolare, che non tutti vivono allo stesso modo. Molti hanno bisogno di credere in qualcosa, o sono particolarmente portati a farlo. Inoltre la mente non è coerente in modo assoluto: se si riesce o si vuole essere razionali in un ambito non significa che ci si riesca o che si voglia esserlo anche in tutti gli altri (fra l’altro è molto più difficile di quanto può sembrare, e non si può avere la certezza di essere razionali e liberi da condizionamenti su tutto). Se ci si libera da un condizionamento irrazionale su qualcosa, non significa che automaticamente ci si liberi anche su tutto il resto, e non si ha neppure il dovere di farlo. Non si possono mettere sullo stesso piano la fede che è personale, con l’etica che invece riguarda il nostro rapporto con gli altri, soprattutto per qualcosa di così importante come lo sfruttamento degli animali. Ovviamente si può essere atei e allo stesso tempo vegani ma è importante non confondere gli ambiti.
Includere l’ateismo nel veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distogliere l’attenzione dal suo reale significato, crea divisione all’interno del movimento per i diritti degli animali e dissuade le persone credenti (che fra l’altro sono numerose) dall’idea di diventare vegane e attiviste per gli animali.
Religioni
Molte religioni sono storicamente legate ai concetti di pace, amore, compassione e non violenza. Questi concetti vengono ad oggi erroneamente, seppur comprensibilmente, associati al veganismo, a volte allo scopo di avvicinare i credenti al veganismo, ma talvolta con l'intento di convertire i vegani ad una certa religione. Praticamente in tutte le religioni (sia politeiste che monoteiste) ci sono state correnti che in qualche modo includevano il rispetto degli animali e l’astinenza dal consumo di prodotti animali (in particolare nel buddismo, nel giainismo e nell’induismo) ma sempre in chiave religiosa e spirituale, cioè ad esempio attraverso l’idea di karma, di reincarnazione, o di purezza spirituale. Esistono associazioni e correnti religiose che cercano di diffondere la propria versione delle religioni anche strumentalizzando il veganismo (come ad esempio l’esicasmo dei cristiani d’oriente o il “Movimento dell'Amore Universale”), a volte rifacendosi ad antiche sette che contemplavano il riconoscimento del valore della vita degli animali e il rispetto loro dovuto, le quali spesso avevano anche una forte componente mistica e ascetica. Tuttavia la maggior parte delle religioni è antropocentrica e considera gli animali come delle risorse a disposizione degli esseri umani. Inoltre molte religioni contemplavano, o contemplano ad oggi, sacrifici animali. E’ possibile essere vegani e al tempo stesso credenti di qualunque religione, ma la religione in realtà non ha nulla a che fare con il veganismo. La fede va distinta dall’etica perché sono due cose diverse. Credere in una religione non implica giustificare lo sfruttamento degli animali e la crudeltà verso di loro, e non dovrebbe mai diventare un modo per giustificare un’ingiustizia.
Confondere il veganismo con la religione è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre ad inquinarne e distorcerne il significato, sminuendo l’aspetto etico dei diritti animali, ne compromette la credibilità, allontana molte più persone di quante non ne possa avvicinare, e crea divisioni e contrasti tra chi ha posizioni differenti in merito.
Opposizione alle religioni
C’è chi associa erroneamente il veganismo alla contrarietà verso le religioni, in particolare verso quelle monoteiste e quelle abramitiche (ebraismo, cristianesimo, islam). Tra le argomentazioni più diffuse, la tesi secondo cui le religioni: sarebbero fatte per accrescere e mantenere il potere ed il controllo delle masse - in realtà, vero o meno che sia, questo non c’entra nulla col veganismo; sarebbero antropocentriche e diffonderebbero l’antropocentrismo - in realtà non tutte, e non necessariamente devono essere interpretate in questo modo; avrebbero una lunga storia di sopraffazione, sfruttamento e sacrificio di animali, oltre che di consumo di carne e altri prodotti animali - in realtà questo non è un aspetto esclusivo delle religioni bensì dell’umanità tutta, praticamente in ogni suo ambito; sarebbero un impedimento alla diffusione del veganismo perché indottrinano le persone e creano una mentalità dogmatica che le allontana dal veganismo - in realtà questo non è tanto dovuto alle religioni, quanto piuttosto ad un approccio fondamentalista e dogmatico ad esse, senza contare che spesso sono solo usate come scusa per non diventare vegan (se non ci fossero le religioni verrebbe probabilmente utilizzata un’altra scusa); strumentalizzerebbero e svilirebbero il vero senso dell’etica e della moralità (facendole diventare cose finalizzate ad un interesse egoistico come la salvezza spirituale, il karma, il paradiso, l’iinferno ecc - benché questo possa effettivamente coincidere con un approccio ipocrita alla moralità, in realtà non impedisce lo sviluppo di una consapevolezza autentica dell'etica e della moralità, e non rende le religioni incompatibili con il veganismo; promuoverebbero un’interpretazione teleologica degli individui (attribuendo loro una funzione, uno scopo, o una finalità naturale ed intrinseca dal momento che si crede che gli individui siano stati creati intenzionalmente da un’entità divina) i quali, di conseguenza, verrebbero oggettificati e considerati come degli strumenti - in realtà non tutte le religioni hanno una visione teleologica degli individui, e non tutte quelle che ce l’hanno sostengono che gli animali esistano per soddisfare interessi umani, ma persino quelle che hanno questa visione possono essere trasformate e adattate in modo tale da renderle compatibili col veganismo. Le religioni non sono mai rimaste le stesse, si sono sempre trasformate, seppure lentamente, e adattate alle consuetudini e alla moralità del tempo. Non esistono religioni che siano davvero incompatibili col veganismo, ma se ce ne fossero sarebbe comunque molto più facile e utile per gli animali modificarle per renderle compatibili con il veganismo che non contrastarle del tutto. Benché sia possibile essere vegani e al contempo opporsi alle religioni, ciò non appartiene al veganismo.
Includere nel veganismo l’opposizione alle religioni è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre ad inquinarne e distorcerne il significato, crea contrasti e divisioni all’interno del movimento per i diritti degli animali indebolendolo e creando ostilità verso i credenti (che fra l’altro sono numerosi), i quali vengono così dissuasi dall’idea di diventare vegani e allontanati dall’attivismo, senza creare alcun vantaggio per la diffusione del veganismo.
Spiritualità
La spiritualità viene erroneamente associata al veganismo, oltre che per le sue influenze ascetiche, probabilmente: per via dell’idea che i prodotti animali abbiano un’”energia” di qualità inferiore rispetto ai vegetali che vengono descritti come “più vitali”; a causa dell’idea che la coscienza di umani e animali sia “spirito”, il quale è considerato come ciò che conta davvero; attraverso l’idea di armonia col tutto, dell’idea che siamo tutti connessi e che "tutto è uno"; mediante l’esaltazione del concetto di consapevolezza superiore, di bene supremo; della dissoluzione dell’ego, di amore e positività, del karma, del “siamo qui per imparare” e della valorizzazione della saggezza. Tra gli spiritualisti, soprattutto tra quelli vegani o vicini al veganismo, si sentono spesso frasi del tipo: “siamo ciò che mangiamo”, o “mangiare animali significa mangiare la loro sofferenza”. Ma poi tra i cosiddetti “ex vegani” gli spiritualisti sono i più numerosi. Inoltre sono quelli che più spesso inquinano il movimento vegan con teorie pseudoscientifiche e idee antropocentriche del tipo: “il veganismo è un percorso personale e ognuno ha il suo percorso” o che gli animali siano qui per insegnarci delle lezioni. Inoltre, nel movimento vegan, sono tra quelli che più associano il veganismo al concetto di naturalità e che spingono per una concezione sacra della natura (che chiamano “Madre Terra” e che descrivono come un essere senziente da rispettare, nonché una divinità da adorare) perpetuando un’idea idillica della natura e della vita. Questa idealizzazione della natura è però un’arma a doppio taglio: così come può spingere alcune persone ad avvicinarsi al veganismo pensando che i vegani siano “più in armonia con la natura”, allo stesso modo può spingere a credere che i vegani si stiano disconnettendo dalla natura, dalla predazione, dal ciclo della vita. Infatti, non di rado, gli spiritualisti che si allontanano dal veganismo sostengono che i vegani abbiano girato le spalle alla natura, che abbiano perso la connessione con “il modo in cui la vita dovrebbe essere” dal momento che la natura comprende la predazione. Anche la fede nel karma è un’arma a doppio taglio: se da un lato può portare a rispettare gli animali allo scopo di evitare conseguenze negative su di sé, dall’altro può portare a pensare che gli animali stiano scontando il karma che loro stessi hanno generato in vite precedenti. Secondo questa idea, salvandoli dallo sfruttamento si starebbe solo ostacolando la loro redenzione e la loro liberazione spirituale. Gli spiritualisti quasi sempre credono nella cosiddetta "legge dell’attrazione” secondo la quale la realtà sarebbe plasmata dal pensiero. Così molti credono che per realizzare eventi positivi si debba pensare positivo e ignorare tutto ciò che è negativo, arrivando a sostenere che ad alimentare lo sfruttamento degli animali siano più i vegani che focalizzano l’attenzione sulle ingiustizie a cui sono sottoposti gli animali, che non chi di fatto partecipa allo sfruttamento animale ma se ne disinteressa. Talvolta gli spiritualisti sostengono che nulla sia davvero negativo, che tutto è perfetto così com’è perché "rispecchia il disegno divino”. Il problema di fondo ha a che fare con l’irrazionalità. Tra gli spiritualisti c’è una forte tendenza a considerare le proprie intuizioni come la fonte più importante per le proprie decisioni e a credere che le proprie intuizioni e sensazioni soggettive siano il frutto di una connessione con un divino onnisciente ed una consapevolezza superiori che non possono essere comprese razionalmente. Questo viene usato anche per giustificare la partecipazione allo sfruttamento degli animali e alla crudeltà verso di loro, facendo affermazioni del tipo: “se sfrutto e uccido gli animali con amore, ringraziando per il loro sacrificio e per il loro dono, allora è giusto. Lo facevano anche gli indiani d’America!”. E’ vero che molti stanno solo usando la spiritualità come scusa per sfruttare gli animali, ma è anche vero che la spiritualità offre ottimi strumenti per farlo. Si tratta di una base molto fragile su cui costruire posizioni etiche. Infatti non è raro che gli spiritualisti fingano di essere vegani o fraintendano il significato della scelta vegan e dopo un po’ tornino a consumare prodotti animali. Essere vegani non c’entra nulla con la spiritualità. La scelta vegan non deriva da intuizioni, sensazioni soggettive o messaggi divini. Che corrisponda ad intuizioni e sensazioni personali oppure no, il veganismo deriva dalla logica e dalla razionalità. E' possibile credere nella spiritualità ed essere vegan, ma occorre tenere ben distinte le due cose.
Associare il veganismo alla spiritualità è dannoso per gli animali soprattutto perchè la prospettiva spiritualista tende a distorcere molto il significato del veganismo, inquinandolo con idee e modi di pensare che ne mettono gravemente a rischio la diffusione e il mantenimento. Inoltre perché fa apparire il veganismo come fortemente irrazionale.
Respirianesimo, pseudoscienze
Il respirianesimo (o breatharianismo) è una pseudoscienza legata alla spiritualità (in particolare alla new age, all’esoterismo, all’occultismo, al paranormale e all’ascetismo orientale) che consiste nel credere alla possibilità per gli esseri umani di vivere senza cibo né acqua o altri liquidi, traendo sussistenza dall” “energia cosmica”, facendo talvolta riferimento all’aria o alla luce del sole come fonti di questa fantomatica energia. Viene talvolta associato al veganismo da persone che credono nella spiritualità e che interpretano l’alimentazione vegana (assieme a quella vegetariana, a quella crudista vegetale e a quella fruttariana) come passi di un percorso verso il respirianesimo. Si tratta chiaramente di un’idea irrazionale, infondata ed estremamente pericolosa se presa sul serio in qualche modo, e che chiaramente non ha nulla a che vedere col veganismo. Il veganismo non è un tipo di alimentazione e non c’entra niente con la spiritualità e con le pseudoscienze.
Associare il veganismo al respirianesimo e ad altre pseudoscienze (fra cui l’urinoterapia, il sungazing e le cosiddette discipline olistiche) è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato sminuendo la gravità delle ingiustizie verso gli animali, fa sembrare il veganismo come qualcosa di folle, pericoloso, delirante e assolutamente inaffidabile.
No-vax, complottismo
Le teorie del complotto sui vaccini non sono assenti tra i vegani (benché la maggior parte dei vegani non sia no-vax) forse, fra le altre cose, a causa della ricerca della naturalità, a causa di un’attenzione particolare alla salute, e a causa di una certa diffidenza verso la medicina convenzionale, l’industria farmaceutica e le istituzioni in generale (aspetti particolarmente diffusi tra i vegani benché non appartenenti al veganismo in sé). A volte il veganismo stesso viene visto come un complotto (più che altro da persone non vegane) soprattutto ora che le istituzioni e gli esperti iniziano a riconoscere i vantaggi dell’alimentazione 100% vegetale per gli esseri umani. Tra i vegani esistono persone complottiste, ma il veganismo non c’entra nulla con le teorie della cospirazione e con il complottismo. Il complottismo no-vax è sostenuto da argomentazioni basate su idee infondate e antiscientifiche che riguardano la medicina, la salute umana e un supposto controllo della popolazione da parte di élite. In particolare durante la pandemia da covid-19 un certo numero di persone contemporaneamente vegane e no-vax, diffondevano appelli a non vaccinarsi affermando che se ti vaccinavi non eri davvero vegano (cosa falsa), e mescolando argomentazioni complottiste ad argomentazioni inerenti il veganismo, sostenute da informazioni solo parzialmente vere (secondo le quali i vaccini anti-covid contenevano prodotti animali e che venivano usati animali nella sperimentazione). E’ possibile essere vegani e al tempo stesso no-vax o credere ad altre teorie del complotto, ma le due cose non c'entrano nulla l’una con l’altra, ed è importante tenerle ben distinte.
Associare al veganismo il complottismo no-vax o altre teorie del complotto (come quelle sul 5G, sul signoraggio, sulle scie chimiche e sul nuovo ordine mondiale) è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato, lo fa apparire paranoico, antiscientifico, stupido, dannoso per la popolazione, pericoloso per la salute, assurdo e delirante, allontana le persone che non condividono determinate idee e crea inutili divisioni e conflitti nel movimento, creando un effetto dissuasivo per molte persone dal prendere seriamente in considerazione l’idea di diventare vegan e attivista per gli animali.
POLITICA
Troppo spesso si parla (erroneamente) di veganismo come di una posizione politica. In alcuni casi si tratta di un errore in buona fede, volendo intendere che il veganismo non è una semplice scelta personale ma è legato ad obbiettivi che coinvolgono tutta la società. Magari lo si è visto descrivere così e si pensa che l'attributo ‘politica’ dia risalto al veganismo o all’antispecismo, e che li valorizzi. Il più delle volte invece, si intende proprio affermare che il veganismo e l’antispecismo riguardino anche la politica, cioè che riguardino il modo in cui la società si organizza secondo modelli e ideologie politiche (di destra, di sinistra, di centro, autoritariste, libertariste ecc..) magari perché si hanno le idee confuse sul veganismo, o magari giocando intenzionalmente sull’equivocità di questa parola. Ma il veganismo non c'entra nulla con il modo in cui la società si organizza politicamente. Alla politica non competono le questioni etiche ma solo l'organizzazione della società. Le ideologie politiche si basano su modelli di organizzazione sociale che non coinvolgono il modo in cui gli animali vengono considerati e trattati dagli esseri umani ma riguardano esclusivamente il modo in cui gli esseri umani convivono, interagiscono tra loro e organizzano la loro popolazione. Agli animali non importa nulla se gli esseri umani si organizzano in società con più o meno gerarchie, o con più proprietà pubblica o più proprietà privata. Agli animali non importa nulla dell’assetto politico delle società umane e dell’ideologia politica degli esseri umani. Tutte le ideologie politiche sono ugualmente compatibili col veganismo. Per gli animali non esiste un assetto o un’ideologia politica che sia migliore o peggiore delle altre. Il veganismo e l’antispecismo non c’entrano nulla con la politica ed è di cruciale importanza non associarli a nessuna ideologia politica per non ostacolarne la diffusione. Farlo significherebbe:
- distorcere il significato del veganismo e dell’antispecismo;
- diluire il messaggio vegan e antispecista, sminuendo il valore dei diritti animali e perdendo di vista l’obbiettivo del movimento;
- sottrarre risorse al movimento vegan (opportunità, denaro, spazi, lavoro degli attivisti) per destinarlo ad altri scopi;
- allontanare e dissuadere tutte le persone che non condividono una determinata ideologia politica (ma anche chi semplicemente non condivide l’idea di confondere il veganismo e l'antispecismo con un’ideologia politica) dal diventare vegan o partecipare all’attivismo per gli animali;
- creare schieramenti, divisioni e fratture interne al movimento che così, meno unito, diventa più debole, spreca risorse per i contrasti tra le fazioni, e crea un ambiente tossico che allontana attivisti e dissuade nuove persone dal partecipare al movimento vegan;
- avvicinare persone che non danno la giusta importanza agli animali, le quali a loro volta tendono a diffondere un’idea sbagliata dell’antispecismo e del veganismo (sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello pratico) e che spesso, ad un certo punto, smettono di essere "vegane” diffondendo informazioni false che disincentivano altri a diventarlo;
- far sembrare il veganismo più difficile di quello che è (ad esempio spacciando il boicottaggio delle multinazionali come parte della scelta vegan) oltre che meno realizzabile socialmente, creando un effetto scoraggiante e di dissuasione dalla scelta vegan e dalla partecipazione all’attivismo (ad esempio attraverso l’idea che lo sfruttamento degli animali non potrà mai essere abolito finché esistono il capitalismo, lo stato, o la stessa civiltà umana);
Transumanesimo, postumanesimo, accelerazionismo
I transumanisti non sono necessariamente vegani, tuttavia tra i seguaci di questa ideologia si parla spesso del benessere di tutti gli esseri senzienti, con riferimento non solo agli esseri umani e agli altri animali, ma anche a potenziali macchine o intelligenze artificiali senzienti, ibridi umano-macchina e umani modificati geneticamente. I transumanisti vogliono superare la condizione umana e modificare gli esseri umani facendoli anche evolvere in altre specie. Forse è questo ciò che più agevola la tendenza dei transumanisti a considerare e a valorizzare la vita degli animali. Non di rado i transumanisti vegani sostengono che il veganismo sia fallimentare e incompiuto senza il transumanesimo in quanto solo un approccio futuristico improntato al progresso tecnologico sarebbe in grado di realizzare un mondo senza sfruttamento e crudeltà sugli animali. Effettivamente esistono soluzioni tecnologiche realistiche e realmente utili all’abolizione dello sfruttamento e della crudeltà sugli animali, come la carne coltivata e il cinema 4D al posto di circhi e zoo. Tuttavia la maggior parte delle proposte e delle ambizioni transumaniste appaiono irrealistiche e infondate. Molte idee transumaniste sembrano riflettere fantasiose ambizioni di onnipotenza che non solo non sono necessarie per creare un mondo vegano, ma anzi possono essere dannose a questo scopo. Il tema comune nel transumanesimo è l’ambizione di superare i limiti naturali per raggiungere obbiettivi grandiosi. Questo include quelle che potrebbero essere descritte come utopie per le quali i transumanisti tendono a sottovalutare non solo la realizzabilità ma anche i pericoli e gli effetti collaterali, e dove può svilupparsi una mentalità del tipo: “ogni mezzo messo in atto per raggiungere un fine così importante è giustificato”. In casi simili il fine non è garantito, anzi, e ciò che resta è solo l’abitudine e lo sdoganamento di comportamenti ingiusti. Un esempio di utopia transumanista è il cosiddetto “imperativo edonistico” che punta a trasformare la natura degli animali e degli ecosistemi in modo tale da eliminare le malattie, la predazione, i comportamenti aggressivi e la stessa capacità degli animali di provare dolore, senza eliminare quella di provare piacere. Questa, come molte altre visioni transumaniste, è guidata da un’etica consequenzialista (utilitarista in particolare) che esclude interpretazioni deontologiche (e di virtue ethics). Questi sistemi e teorie etiche sono prevalenti nel transumanesimo. Sebbene nel transumanesimo ci sia una certa apertura all’antispecismo, nonché una certa critica all’antropocentrismo, resta evidente la presenza di una mentalità specista e antropocentrica. Ad esempio, persino i transumanisti “vegani” sono spesso a favore di zoo, allevamenti e ingenieria genetica sugli animali per scopi ritenuti “più grandi”. Il transumanesimo è legato all’accelerazionismo: un’ideologia politica che punta all’accelerazione ed estremizzazione del capitalismo, o del progresso industriale e tecnologico, allo scopo di raggiungere determinati obbiettivi (non tutti gli accelerazionisti concordano sugli obbiettivi e sugli effetti di un tale assetto politico). Gli accelerazionisti che strumentalizzano il veganismo affermano che questo sia il modo migliore, o addirittura l’unico, per eliminare l’industria zootecnica, facendola ingrandire fino al punto di renderla insostenibile, e far sì che si autodistrugga; oppure creando tecnologie sostitutive e trasformazioni sociali che porterebbero al suo abbandono e alla sua abolizione. E' possibile essere vegani e al tempo stesso transumanisti, postumanisti o accelerazionisti ma queste idee non c'entrano nulla col veganismo.
Associare il transumanesimo, il postumanesimo e l’accelerazionismo al veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne profondamente il significato, lo fa sembrare poco realistico, poco affidabile e a tratti spaventoso.
Boicottaggio delle multinazionali, anticapitalismo, movimento no-global, anticonsumismo
Alcuni vegani sostengono che il veganismo implichi il boicottaggio delle multinazionali. Altri affermano che il veganismo implichi l’anticonsumismo, sostenendo che essere vegani significhi essere contro “lo sfruttamento” in senso generale, incluso quello degli esseri umani e delle risorse naturali. Molto spesso si tratta di persone che associano il veganismo all’anticapitalismo o ai movimenti no-global, e che cercano di strumentalizzare il movimento vegano a vantaggio di un’ideologia politica (non solo di sinistra). In realtà il veganismo si oppone all’idea che gli animali siano risorse e proprietà degli esseri umani. Si tratta di un movimento dedicato esclusivamente agli animali non-umani ed è importante che rimanga tale per non danneggiare la sua efficacia nel salvare animali. Paragonare lo sfruttamento degli esseri umani e delle risorse naturali allo sfruttamento degli animali significa sminuire la gravità della schiavitù animale e ricadere in quella mentalità carnista, specista e antropocentrica che equipara gli animali ad oggetti e risorse. E’ assurdo paragonare lo sfruttamento di cose allo sfruttamento di individui, ancor più se consideriamo la schiavizzazione e il livello di violenza riservata agli animali non umani (totalmente fuori scala rispetto allo sfruttamento degli esseri umani).
Includere il boicottaggio delle multinazionali nel veganismo, e associarlo all'anticapitalismo, ai movimenti no-global o all’anticonsumismo, danneggia gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato, fa sembrare l’aspetto pratico della scelta vegan molto più difficile di quanto non sia in realtà, e gli obbiettivi del veganismo estremamente più difficili da realizzare, dissuadendo molte persone dal compiere questa scelta (e in alcuni casi anche dal mantenerla). Inoltre crea divisioni e schieramenti all’interno del movimento, indebolendolo, distorcendone gli intenti e dissuadendo persone dal partecipare all’attivismo per gli animali.
Anarchismo verde, anarco-primitivismo
I tentativi di infiltrazione e strumentalizzazione del veganismo da parte del movimento anarchico sono stati, e sono tuttora, molto forti. Il ‘veganarchismo' è una delle manifestazioni più esplicite di questo fenomeno. Il famoso slogan “animal liberation - human liberation”, l’associazione tra la liberazione animale e l'ecologismo radicale, e il concetto di “liberazione totale” (che contribuiscono a confondere il veganismo con temi legati all’ecologismo e ai diritti umani) derivano dalle influenze anarchiste. Il movimento politico che più è riuscito a strumentalizzare il veganismo in passato è proprio l’anarchismo verde, da cui nasce l’anarco-primitivismo, il quale sostiene la distruzione e l’abbandono dell’intera civilizzazione umana come unico modo per eliminare lo sfruttamento animale. L’anarchismo verde, e l’anarco-primitivismo in particolare, idealizzano il concetto di natura e di vita selvaggia. Nonostante la strumentalizzazione del veganismo (e ancor più del concetto di antispecismo) sia preminente tra gli anarchisti verdi, in questo movimento politico è evidente un diffuso specismo antropocentrico. Ad esempio, spesso chi si definisce anarchico verde e vegano giustifica la caccia da parte degli umani che vivono allo stato selvaggio. Non di rado gli anarchisti che strumentalizzano il veganismo a favore della propria ideologia politica, considerano l’appartenenza alle forze militari o di polizia e le ideologie politiche diverse dalla proprie come peggiori dello sfruttamento degli animali. Probabilmente tra le cause della falsa associazione tra veganismo e anarchismo c’è il fatto che i vegani valorizzano la libertà degli animali dallo sfruttamento umano e si oppongono al dominio umano sugli altri animali. Questi aspetti vengono erroneamente scambiati per una generica valorizzazione ed estremizzazione del concetto di libertà, e per l’opposizione a tutte le gerarchie sociali. L’anarchismo è un’ideologia politica, non etica. Il valore della libertà appartiene all’anarchismo in senso politico, non in senso etico, cioè esclusivamente per quanto riguarda l’organizzazione della società non per quanto riguarda il giudizio di ‘giusto’ e ‘sbagliato’.
Associare al veganismo l’anarco-primitivismo e in generale l'anarchismo verde, anche attraverso idee come quella della “liberazione totale” e del “veganarchismo” è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcere il significato del veganismo, ne limita la diffusione, creando un effetto repulsivo per tutte quelle persone che non condividono queste idee politiche. Crea divisioni interne al movimento vegan, indebolendolo, e ne disperde le risorse destinandole ad obbiettivi estranei allo sfruttamento e alla crudeltà sugli animali (fra l’altro, in alcuni casi anche spingendo gli attivisti a problemi con la legge per attività estranee ai diritti degli animali). Inoltre limita fortemente le opportunità di azione per gli animali attraverso la diffusione di una mentalità di rifiuto e opposizione alla partecipazione ad ogni forma di istituzione pubblica o di impresa privata, creando ad esempio tabù per la collaborazione con giornalisti, mass media, aziende, ricercatori scientifici, forze dell’ordine, apparati statali e amministrazioni pubbliche.
Ecosocialismo, movimento per la decrescita
Da tempo il veganismo viene associato alla decrescita, probabilmente perché decrescere economicamente porterebbe ad una forte diminuzione del numero di animali sfruttati nell’industria e di quelli danneggiati e uccisi nell’ambiente. Questa idea però non tiene conto delle scarsissime possibilità di realizzazione e di mantenimento di una simile condizione economica, oltre ad ignorare le implicazioni positive della crescita economica per gli animali (fra cui: le maggiori possibilità di diffusione di informazioni e di attivismo, la necessità di abbandonare l’allevamento per motivi legati alla sostenibilità ambientale e sanitaria, e le tecnologie che permettono di creare prodotti animali coltivati e prodotti vegetali simili ai prodotti animali). Il movimento per la decrescita è legato all’ecosocialismo. Recentemente sono nati gruppi ecosocialisti che tentano di strumentalizzare il veganismo a vantaggio del proprio movimento politico, associando i diritti degli animali al rapporto degli esseri umani con la natura e affermando che la causa dello sfruttamento degli animali sia da ricercare nel capitalismo e nella “società industriale”, che l'attivismo per gli animali debba prima di tutto occuparsi di distruggere il capitalismo, e che i diritti animali non possano esistere in una società che non abbia abolito la proprietà privata. Sostengono che affrontare il veganismo e l’antispecismo dal punto di vista etico non serva ad aiutare gli animali, e che questi temi debbano essere necessariamente affrontati dal punto di vista politico. Questi gruppi ecosocialisti infatti cercano di strumentalizzare il movimento vegan tentando al tempo stesso di impadronirsi del termine ‘antispecismo’. In questo modo cercano di strumentalizzare l'antispecismo e di sfruttare il movimento per i diritti animali distorcendone profondamente il significato e minandone gravemente l’efficacia nel contrasto allo sfruttamento degli animali e alla crudeltà verso di loro. Sostengono inoltre che non abbia senso parlare di responsabilità individuali ma solo di progetti finalizzati ad un modello politico e ad una ideologia politica. Appoggiano l’idea che gli antispecisti dovrebbero essere disposti a formare alleanze anche con i piccoli allevatori allo scopo di combattere il capitalismo, e che non sia importante essere vegani perché considerano irrilevanti le scelte individuali. Secondo chi vuole strumentalizzare in questo modo il movimento per i diritti animali, la scelta vegan sarebbe inutile e illusoria, nonché “figlia del neo-liberismo”. Ma la scelta vegan non è affatto irrilevante, è fondamentale, e non ha alcun colore politico. Si può avere qualsiasi idea politica, incluso l’ecosocialismo, e allo stesso tempo essere vegani, ma il veganismo non c’entra nulla con l’ecosocialismo, né con la decrescita.
Associare il veganismo o l’antispecismo all’ecosocialismo o alla decrescita è dannoso per gli animali soprattutto perché distorce fortemente il loro significato, li strumentalizza e danneggia il movimento vegan, illudendo gli attivisti che questo sia il modo giusto per salvare gli animali. Inoltre allontana le persone che non condividono questa idea, e crea schieramenti indebolendo il movimento.
Intersezionalismo, nuova sinistra, (eco-trans)femminismo
Da quando la sinistra si è trasformata nella cosiddetta “nuova sinistra” c’è stato un progressivo abbandono dei temi politici di quest’area, assieme alla tendenza a strumentalizzare temi etici legati all’ambiente e ai diritti umani. La nuova sinistra è legata al femminismo, da cui sono nati l’ecofemminismo, il movimento queer, il movimento woke, il transfemminismo e l’intersezionalismo. A sua volta l’intersezionalismo è per sua natura tendente a strumentalizzare idee e movimenti etici (tra cui il veganismo). Infatti sostiene che non sia possibile progredire nel veganismo senza progredire anche nelle altre lotte in quanto tutte le discriminazioni e tutte le forme di oppressione (spesso considerate frutto del capitalismo) sarebbero interconnesse e si influenzerebbero reciprocamente. Sarebbe quindi necessario, o quantomeno più efficace, affrontarle tutte assieme per poter progredire nel contrasto allo sfruttamento animale. Ma questa strategia è fondamentalmente impraticabile e ogni tentativo risulta in realtà meno efficace rispetto all’attivismo monotematico (almeno per quanto riguarda il veganismo) soprattutto perché fa perdere di vista l’obbiettivo, disperde le risorse e allontana persone altrimenti avvicinabili a causa di temi altamente divisivi e politicizzati. Anche dal punto di vista dell’avvicinamento al veganismo e del supporto all’attivismo vegan da parte di altri movimenti (per i diritti umani) l’attivismo intersezionale non risulta essere un buon investimento, in quanto l’avvicinamento e il supporto è per ora quasi esclusivamente unidirezionale e non reciproco. Le intersezioni tra ingiustizie diverse esistono, ma ognuna ha caratteristiche proprie, e viene percepita e messa in atto dalle persone in modo a sé stante. Molte delle ingiustizie sugli umani probabilmente possono essere portate avanti assieme, senza causare danni ad alcuna di esse, ma quelle sugli animali certamente no. Il veganismo viene senza dubbio danneggiato da un approccio intersezionale, ancor più se in questo modo viene anche associato ad una ideologia politica (come di fatto fa l’intersezionalismo) e ha quindi tutte le ragioni per essere portato avanti autonomamente. Ciononostante l’intersezionalismo, almeno attualmente, è il movimento che più ha preso piede tra i vegani. Tra i motivi di questo fenomeno si possono elencare, oltre alla popolarità dei temi etici legati al contrasto alle discriminazioni, il fatto che probabilmente i vegani sono persone in media più empatiche e più portate alla ricerca della giustizia. Ma anche a causa della pressione da parte di intersezionalisti all’interno del movimento vegan, messa in atto mediante ricatti morali, persuasione e sabotaggio delle iniziative non schierate come intersezionaliste. Inoltre perché la moralità più popolare viene sfruttata anche da vegani per scopi legati all'opportunismo e al virtue signaling. Gli intersezionalisti che vogliono strumentalizzare il veganismo distorcono il significato del veganismo sostenendo che debba occuparsi anche dei diritti umani in quanto gli umani sono animali. Applicano strategie di manipolazione e strumentalizzano l’antispecismo sostenendo che debba essere considerato un termine ombrello per tutte le discriminazioni. Gli intersezionalisti pretendono di essere nel giusto in tutto, in realtà si oppongono quasi esclusivamente alle discriminazioni più conosciute e già ampiamente condannate dalla società. Come i membri degli altri movimenti che derivano dal femminismo, tendono ad interpretare tutto come un costrutto sociale culturalmente acquisito, ed esagerano l’entità di alcune discriminazioni. Gli intersezionalisti vegani spesso attribuiscono più importanza ai diritti umani rispetto ai diritti animali, sopravvalutano l’oppressione verso individui umani e sottovalutano quella verso individui non umani. Inoltre applicano un doppio standard tra chi è a favore dello sfruttamento animale e chi discrimina certe categorie di esseri umani, ad esempio mostrando molta più tolleranza verso carnisti e macellai rispetto a razzisti e omofobi. Molto spesso sono specisti e antropocentrici pur volendosi impadronire dell’antispecismo. Spesso affermano di non poter immaginare un mondo dove gli animali sono liberi e gli umani no, vincolando e subordinando la liberazione animale ai diritti umani. Inoltre, non di rado i vegani intersezionalisti sostengono che alcune categorie di esseri umani (fra cui persone con disturbi alimentari e comunità indigene) non abbiano il dovere di essere vegani, e prescrivono regole di condotta nell’attivismo in base a categorie di appartenenza come sesso, nazionalità, ecc..
Associare il veganismo all’intersezionalismo, alla nuova sinistra, al femminismo, al transfemminismo, all’ecofemminismo, al movimento woke o al movimento queer è dannoso per gli animali soprattutto perché allontana risorse in termini economici e di impegno degli attivisti, diluisce il messaggio vegan e lo rende meno efficace, meno attrattivo e più respingente per il pubblico. Prescrive l'utilizzo di forme di comunicazione non efficaci e che possono avere un
effetto respingente (come ad esempio lo shwa 'Ə'). Rende il movimento vegan molto più esclusivo. Infine crea forti divisioni all’interno del movimento, rendendolo meno influente.
ETICA
Il veganismo è una posizione etica. Non per questo chi lo adotta debba necessariamente opporsi a tutte le ingiustizie, o essere perfetto, né essere migliore degli altri (fra l’altro sarebbe ingenuo, arrogante e autolimitante, credere di essere perfetti o di aver finalmente riconosciuto e compreso tutte le ingiustizie). Alcuni vegani sostengono (erroneamente) che il veganismo implichi determinate altre posizioni etiche, fraintendendo il suo significato o strumentalizzandolo intenzionalmente per sostenere altre cause. Altri sembrano voler raggiungere un ideale di bontà e di giustizia assolute, forse per disposizione personale, forse per ego, forse spinte da chi li attacca puntando alle loro mancanze... Ma essere vegani non significa essere perfetti. Il veganismo non implica avere come obbiettivo la bontà e la giustizia assolute. Nonostante sia una scelta minoritaria, che può sembrare difficile o sconveniente, la scelta vegan non è né una virtù né un merito, ma appartiene semplicemente alla decenza morale. Una falsa credenza presente sia tra i vegani che tra i non vegani è che quando una persona diventa vegana, diventa in generale più giusta, più buona, più altruista, più compassionevole ecc. In realtà non c'è ragione per cui ciò debba essere vero. Non c’è ragione di credere che i vegani siano automaticamente persone più giuste e più buone in assoluto rispetto ad altre categorie di persone. Piuttosto, ciò che è vero è che c'è un’ingiustificata pretesa di coerenza che caratterizza l’approccio al veganismo, soprattutto da parte dei non vegani, ma a volte anche degli stessi vegani. Questa coerenza viene richiesta ai vegani ma non alle altre persone (o a categorie di persone che adottano altre posizioni etiche). Ciò, oltre a non avere una ragione logica, non fa altro che alzare lo standard per chi vuole diventare vegano, facendola sembrare una scelta sempre più difficile da adottare. Chiaramente è possibile essere vegani e al tempo stesso adottare altre posizioni etiche, o cercare di essere eticamente corretti, meritevoli e virtuosi in tutto, ma affinché sia efficace nel salvare animali il veganismo non deve essere frainteso o strumentalizzato per altre cause etiche, anzi deve essere il più possibile comprensibile, condivisibile e accessibile a tutti.
Descrivere il veganismo come un sinonimo di giustizia assoluta, o associarlo ad altre posizioni etiche è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato, alza troppo lo standard, e rende il veganismo meno comprensibile, meno accessibile e meno condivisibile.
Discriminazioni
Da parte di alcuni vegani, negli ultimi tempi è aumentata la tendenza ad associare il veganismo alla contrarietà nei confronti dello stigma e della discriminazione verso alcune categorie di individui. Certi vegani sostengono che le discriminazioni siano incompatibili col veganismo e con l’antispecismo, e tentano di includere in queste posizioni etiche la contrarietà a queste e ad altre ingiustizie attualmente impopolari nella società. In realtà, per la precisione, non c’è ragione di credere che essere vegani o antispecisti sia incompatibile con altre discriminazioni. La contrarietà alle discriminazioni non fa parte del veganismo né dell’antispecismo, proprio come il veganismo e l’antispecismo non fanno parte dell’antirazzismo, dell’antisessismo, dei movimenti lgbt, o di altri movimenti per i diritti umani. L’antispecismo non è incompatibile con altre discriminazioni, semplicemente perché la specie non comprende il sesso, la provenienza geografica, l’età, la disabilità, l’orientamento dell’attrazione o altre caratteristiche in base alle quali gli individui vengono discriminati. Prendere posizione contro discriminazioni e altre ingiustizie all’interno del movimento per i diritti animali può essere necessario, non come una componente del veganismo o dell’antispecismo, ma allo scopo di prevenire discriminazioni nel contesto dell’attivismo per gli animali, affinché gli attivisti non attuino discriminazioni fra loro o nei confronti delle persone con cui interagiscono durante le iniziative. Questo perché, a parte l’immoralità insita in tali comportamenti, bullismo, aggressività ingiustificata e discriminazioni danneggerebbero l’attivismo e il movimento vegan. Sia tra i vegani che tra i non vegani c’è un’idea del veganismo e dell'antispecismo come sinonimi di bontà e giustizia onnicomprensive. Sebbene è plausibile che i vegani siano mediamente più empatici, più orientati alla giustizia e meno discriminanti, questo resta solamente un pregiudizio. Fra l'altro, tale pregiudizio suggerisce che gli animali vengono considerati, anche da certi vegani, non semplicemente come gli individui più ignorati, discriminati e oppressi, ma come individui effettivamente meno importanti (della serie: "se ti interessi degli animali, che valgono poco, figuriamoci se non ti interessi degli esseri umani, che valgono molto di più"). Inoltre se è vero che discriminare gli esseri umani in quanto specie è incompatibile con l’antispecismo, non è altrettanto vero che sia incompatibile col veganismo (benché la discriminazione verso gli umani non appartenga al veganismo in sé). A prescindere che si tratti di etica oppure no, cercare di includere interessi umani tra gli obbiettivi del veganismo è sintomo di antropocentrismo. Non tutto deve necessariamente riguardare anche gli interessi e i diritti degli esseri umani. Il veganismo si oppone proprio all’idea che gli animali siano risorse e proprietà a disposizione degli esseri umani, ed è giusto che rimanga un movimento che si batte esclusivamente per le vittime di questa ingiustizia. Chiaramente si può essere contrari alle discriminazioni e al tempo stesso vegani, ma si tratta di due cose separate che non devono essere confuse.
Confondere il veganismo con la contrarietà alle discriminazioni è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato, sminuendo l’importanza dei diritti animali, lo rende meno chiaro, più soggetto a mode e ad interpretazioni, meno accessibile, più esclusivo, nonché facile preda di strumentalizzazioni e confusione con idee di stampo politico.
Povertà e fame nel mondo
La fame nel mondo viene a volte indicata come una possibile motivazione per la scelta vegan. E’ vero che l’astensione dal consumo di prodotti animali aiuta a ridurre e a prevenire l’aggravamento di questo problema su scala globale (anche se l’abbandono degli allevamenti non sarebbe sufficiente a risolverlo essendo coinvolti altri fattori determinanti) ma non si può essere vegan per questo motivo, semplicemente perché il veganismo non riguarda la povertà o la fame nel mondo, riguarda esclusivamente il modo in cui consideriamo e trattiamo gli animali. Non è sbagliato parlarne e usarla come argomentazione allo scopo di convincere le persone a ridurre il proprio consumo di prodotti animali, ma è importante non confonderla col veganismo. Alcune persone, inclusi alcuni vegani, arrivano a sostenere che per le popolazioni umane più povere non sia possibile essere vegane, e che pertanto i membri di quelle popolazioni siano giustificati a non essere vegani e ad uccidere animali. Scenari simili vengono intenzionalmente esagerati o completamente inventati al solo scopo di attaccare il veganismo. In realtà le popolazioni più povere hanno meno accesso ai prodotti animali rispetto ai vegetali, e non esistono condizioni ambientali, sociali o economiche che impediscano di astenersi dalla crudeltà sugli animali o dal loro sfruttamento, incluso il consumo di prodotti animali nell'alimentazione, nell'abbigliamento e per altri scopi. Ma se davvero esistessero situazioni di questo tipo, probabilmente le persone che lo affermano non riterrebbero altrettanto giustificato sfruttare e uccidere esseri umani per necessità (ancora meno se al posto delle vittime ci fossero loro stessi) e questo rivela un condizionamento carnista, specista e antropocentrico. Certamente è possibile essere vegani e al tempo stesso dare valore alla lotta alla povertà e alla fame nel mondo, ma si tratta di due cose differenti. Non tutto deve necessariamente riguardare anche gli interessi umani, anche se giusti ed essenziali.
Associare la lotta alla povertà e alla fame nel mondo al veganismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcere il suo significato ed a svalutare i diritti degli animali, devia il focus e le risorse dagli animali per indirizzarle alla lotta alla povertà e alla fame nel mondo, talvolta persino con derive carniste.
Sfruttamento del lavoro
A volte, vegani e non vegani sostengono che il veganismo includa la contrarietà allo sfruttamento del lavoro. Utilizzano la parola 'sfruttamento' per sostenere questa idea, mettendo sullo stesso piano lo sfruttamento del lavoro e lo sfruttamento degli animali. Ma le due cose non sono per nulla paragonabili perché, contrariamente a ciò che viene fatto agli animali, i lavoratori non subiscono una selezione genetica artificiale atta a renderli più produttivi (spesso con gravi conseguenze per la loro salute), non sono schiavizzati, non sono tenuti prigionieri (il più delle volte in condizioni orribili), non vengono fatti riprodurre forzatamente, non vengono sistematicamente mutilati, sottoposti a privazioni e sofferenze fisiche e mentali estreme e infine brutalmente uccisi (ed esempio sgozzati, bolliti vivi o soffocati in camere a gas), magari da piccoli o magari dopo essere stati separati dai loro figli, i quali vengono a loro volta uccisi. Per quanto sfruttati, i lavoratori non vengono considerati e trattati letteralmente come delle cose, come delle proprietà. Questo accade invece agli animali per il semplice fatto di non appartenere alla specie umana. I prodotti vegani vengono a volte associati ai prodotti da commercio equo e solidale, visti entrambi come prodotti alternativi, o alla meglio come prodotti per il cosiddetto ‘consumo critico’. Ci sono vegani che cercano di usare lo sfruttamento del lavoro, in particolare verso i dipendenti di allevamenti e macelli, come argomentazione a supporto del veganismo e contro le aziende che sfruttano gli animali. Alcuni ambiscono persino a collaborazioni e alleanze con i dipendenti di allevamenti e macelli che cercano di migliorare le proprie condizioni di lavoro. Che siano sincere o solo strumentali, questo tipo di strategie e di argomentazioni sono controproducenti e moralmente problematiche sotto molti aspetti. Questi lavoratori sono carnefici, non vittime. In questo rientra probabilmente, ancora una volta, un certo specismo antropocentrico. Infatti se al posto degli animali ci fossero esseri umani, difficilmente si parlerebbe di questi lavoratori come di vittime da difendere. Certe argomentazioni trasmettono un chiaro messaggio di svalutazione dei diritti degli animali e delle violenze inflitte loro; inoltre tendono a giustificare gli operatori di allevamenti e macelli suggerendo (falsamente) che sono costretti a schiavizzare e ad uccidere gli animali perché non hanno alternative professionali e sociali. In realtà per quanto difficili e limitate possano essere le condizioni di vita di alcuni esseri umani, non si è mai veramente costretti, né giustificati, a commettere simili atrocità. Inoltre queste argomentazioni prestano il fianco a chi sostiene che se le condizioni di lavoro di tali attività fossero buone o il lavoro venisse in parte automatizzato, allora sarebbe moralmente accettabile. Piuttosto che porre l’attenzione sulle condizioni di lavoro dei propri dipendenti è meglio spingere le aziende a riconvertirsi in attività che non usano animali. Non si tratta solo di una questione ideologica e di principio ma anche di una questione pragmatica e strategica sulle possibili conseguenze di certi metodi e argomentazioni. Certamente si può essere vegani e al tempo stesso contrari allo sfruttamento del lavoro ma è necessario non confonderlo con lo sfruttamento animale ma riconoscerne le differenze (e non negare le responsabilità). Il veganismo si batte proprio contro l’idea che gli animali siano risorse e proprietà degli esseri umani. Giusti o sbagliati che siano, non tutto deve includere gli interessi umani.
Associare il veganismo alla lotta allo sfruttamento del lavoro è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre a distorcerne il significato e a sminuire i diritti degli animali, apre la strada ad argomentazioni e strategie controproducenti, devia il focus e le risorse dagli animali per indirizzarle altrove.
Pacifismo, nonviolenza
Spesso il veganismo viene associato al pacifismo, al movimento non-violento e ai concetti di ‘disobbedienza civile’, ‘obiezione di coscienza’ e ‘anti-militarismo’. Talvolta la nonviolenza viene persino usata come criterio per definire il veganismo o l’antispecismo. Ma l’essere a favore o contro la violenza non sono cose che appartengono al veganismo. Non è la contrarietà alla guerra o alla violenza a caratterizzare il veganismo. Prima di tutto il veganismo non riguarda gli interessi e i diritti umani ma i diritti animali, quindi già solo per questo associare il veganismo al pacifismo, alla non-violenza o alla contrarietà alla violenza in senso generale non è corretto. Spesso le ingiustizie verso gli animali includono violenza verso di loro. In questo senso è corretto dire che i vegani si oppongono a certe forme di violenza, ma, per la precisione, i vegani sono contrari alla crudeltà verso gli animali e al considerare e trattare gli animali come risorse o proprietà a disposizione dell’uso umano. L’idea che chi è vegan sia necessariamente pacifista e non violento è falsa. I vegani non sono diversi dai non vegani in questo. Spesso il tema della pace e della guerra viene affrontato con superficialità. I conflitti non sono cose semplici. E’ vero che le guerre coinvolgono individui innocenti, e fra questi anche animali selvatici e domestici, ma si tratta di questioni complicate, le quali coinvolgono molti aspetti della società e della politica che col veganismo non c’entrano nulla. C’è poi da notare che gli effetti delle guerre sugli animali vengono spesso strumentalizzati per prendere le parti di uno o dell’altro contendente, o di determinate posizioni politiche che hanno a che fare con le relazioni fra i popoli e le nazioni. L’unica posizione che prende il veganismo in merito alle guerre è la contrarietà allo sfruttamento e alla crudeltà da parte degli esseri umani sugli animali a fini bellici, a prescindere da chi li attua. Chiaramente è possibile essere vegani e al tempo stesso pacifisti o nonviolenti ma il veganismo non implica l’adesione a queste posizioni e movimenti. Non tutti i movimenti devono includere gli interessi e i diritti umani.
Associare il veganismo al pacifismo e alla nonviolenza è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre alla distorsione del significato del veganismo e alla sottovalutazione dei diritti animali, si creano facilmente schieramenti e strumentalizzazioni politiche.
Antinatalismo
Gli antinatalisti non di rado cercano di strumentalizzare il veganismo per diffondere la loro posizione etica. In particolare lo fanno quegli antinatalisti che considerano moralmente sbagliato creare esseri senzienti a prescindere dalla loro specie (i quali sono una parte consistente, ma non maggioritaria, degli antinatalisti). Per vari motivi vedono il veganismo come uno dei movimenti più facili da sfruttare a questo scopo. Come argomentazione sostengono che l’obbiettivo dei vegani sarebbe già antinatalista verso gli animali in quanto i vegani puntano all'abbandono dell'allevamento. In realtà l’obbiettivo del veganismo non è esattamente quello di non far più riprodurre gli animali. I vegani si oppongono all’allevamento degli animali proprio come tutti si opporrebbero all’allevamento degli esseri umani, non perché vedano la creazione di esseri senzienti come qualcosa di negativo in modo intrinseco e categorico, ma perché sono contrari alla schiavizzazione degli individui e alla crudeltà verso di loro. Sicuramente il veganismo è incompatibile con l'idea di far riprodurre gli animali allo scopo di schiavizzarli, ma l’antinatalismo non c'entra. Il fatto di non far riprodurre gli animali adottati o quelli nei rifugi invece è circostanziale, ed è dovuto all’estrema necessità di adozione e salvataggio di animali sfruttati o abbandonati. Un’altra argomentazione che usano spesso gli antinatalisti allo scopo di strumentalizzare il veganismo è l’idea che lo sfruttamento degli animali non avrà fine finché esisteranno gli esseri umani. Probabilmente nulla di ciò che gli esseri umani fanno smetterà completamente di esistere finché esisteranno gli esseri umani, ma questo non significa che lo sfruttamento e la crudeltà sugli animali non possa essere abolita e minimizzata. In ogni caso, se anche il futuro non fosse questo, rimarrebbe comunque molto più utile combattere per la diffusione del veganismo che non per l’estinzione umana allo scopo di arginare lo sfruttamento degli animali e la crudeltà verso di loro. La diffusione del veganismo è molto meno utopistica della diffusione di qualunque forma di antinatalismo. Molti vegani sono contrari all’idea di fare figli per via dei danni agli animali che, anche involontariamente, gli esseri umani provocano, e soprattutto perché non c’è certezza che i figli diventino vegani. Effettivamente fare figli non è un buon modo per creare nuovi vegani (la maggior parte dei figli dei vegani non diventano vegani, e si possono creare molti più vegani facendo attivismo). E’ possibile essere vegani e allo stesso tempo antinatalisti, ma le due cose non c’entrano e non devono essere associate se non si vuole danneggiare gravemente il movimento vegan.
Associare il veganismo all’antinatalismo è dannoso per gli animali soprattutto perché, oltre alla distorsione del suo significato, rende il veganismo molto più deprimente e impopolare. Inoltre questa associazione fa sembrare il veganismo molto più difficile da mettere in atto individualmente e da realizzare collettivamente, e provoca un effetto di dissuasione e allontanamento dal veganismo per tutte le persone che vogliono avere figli.
Ultimo aggiornamento: 7 marzo 2025