Ultimamente diversi attivisti vegan concordano sulla necessità di rafforzare l’unità tra coloro che si occupano dei diritti degli animali e della loro liberazione dallo sfruttamento umano. E’ giusto perché solo così si possono raggiungere alcuni importanti obbiettivi. Occorre però chiarire cosa si intende con unità, ovvero tra chi e a quali condizioni.
Questa unione per essere reale, davvero efficace e non controproducente, deve essere tra tutte le persone che si battono per i diritti degli animali, tenendo questo come unico valore comune.
Associare a questo movimento posizioni che non c’entrano col rispetto per gli animali (non umani) non può fare altro che creare divisione, oltre che snaturare l'idea di animalismo, veganismo e antispecismo, e far perdere di vista l’obbiettivo.
Il posizionamento politico è ciò che più sta creando divisione oggi. In particolare una certa fetta di attivisti spinge affinché questo movimento assuma una connotazione di sinistra e libertaria.
Recentemente alcuni santuari si sono autodefiniti ‘avanposti dell’antispecismo’ e in più occasioni hanno affermato che l’antispecismo è politico (di sinistra) e addirittura che solo i santuari rappresentano l’unico vero attivismo e il vero antispecismo. Questo tipo di idee, oltre ad essere errate, sono solo fonte di divisione. Non esiste un’unica forma di attivismo efficace. Tutte sono importanti e necessarie.
Benché a volte affermino di essere solo antifascisti, certi attivisti sostengono che l’antispecismo equivale al socialismo o all’anarchismo, e che la causa dello sfruttamento e della crudeltà sugli animali sono lo stato e il capitalismo.
Ma questo è falso. Non è questione di destra o sinistra, sopra o sotto, avanti o indietro. L'antispecismo è una posizione etica, non politica!
Spesso chi vuole strumentalizzare il movimento per i diritti animali a fini politici sostiene che tutto è politica. I sostenitori dell’antispecismo politico giocano proprio sull’ambiguità
del termine "politica" per giustificare una strumentalizzazione del
movimento per i diritti animali. La loro argomentazione è: dal momento
che tutto è politica allora tutto può e deve essere ricondotto ad una
posizione politica.
Quel che c’è di vero è che, per estensione, potremmo definire aspetti ‘politici' dell’attivismo il modo in cui gruppi e associazioni si organizzano, e il modo in cui gli attivisti intervengono nella società. Tuttavia queste cose sono ben lontane dal definire un colore o un’appartenenza politica. In questo modo si creano solo fraintendimenti e confusione.
Uno dei filoni di pensiero legati a questo tipo di posizionamento è l’intersezionalismo, una teoria apparentemente distinta da posizioni politiche ma che di fatto è legata e finalizzata a posizioni di sinistra e libertarie.
Non esiste una definizione di intersezionalismo, ma può essere descritto come la teoria secondo la quale discriminazioni e oppressioni nella società umana sono interconnesse e hanno una radice comune di origine culturale, una ‘cultura del dominio’ che secondo gli intersezionalisti corrisponde al capitalismo.
Il problema nasce già da qui, perché naturalmente non tutti sono d’accordo con queste interpretazioni.
Non c’è prova che questa teoria sia vera, anzi, ad una analisi più attenta fa acqua da tutte le parti:
discriminazioni e oppressioni non sono solo di origine culturale ma prima di tutto naturale.
L’egoismo, la paura del diverso, la brama di potere e la prevaricazione del più forte sul più debole (sia espressi singolarmente che in gruppo) fanno parte della natura umana e animale.
Non esiste una radice comune alle ingiustizie nei confronti di individui umani e non umani. Anche l’aspetto prettamente culturale di questi fenomeni non è riconducibile ad un preciso ordinamento politico, tutt’altro.
In ogni assetto politico si possono manifestare ingiustizie, iniquità e dinamiche di potere, soprattutto verso gli animali (anche in quelle che il potere lo combattono), e tuttavia in ognuno queste cose possono essere contrastate.
Questo non significa che sia un male cercare di ottenere maggiore giustizia, anzi, è importante contrastare l’idea che ‘potere' significhi ‘diritto’ e che la vita di alcuni possa essere arbitrariamente considerata meno importante di quella di altri, ma questo purtroppo non è sufficiente.
Ogni ingiustizia ha cause, caratteristiche ed effetti differenti. Ognuna viene percepita e affrontata in modo a sé stante dalle persone ed è necessario approcciarla e contrastarla in modo specifico, soprattutto quando si parla di animali non umani.
Se si applicasse la teoria dell’intersezionalismo così come viene proposta, la conseguenza sarebbe che mentre parte delle risorse riservate agli animali verrebbero spese per altre cause, chi si occupa degli umani non diventerebbe comunque vegan o antispecista.
Al contempo il movimento vegan e antispecista si dividerebbe ulteriormente, diventando anche meno attrattivo per il pubblico in generale.
Se assimilasse queste posizioni, il movimento per i diritti animali diventerebbe molto più esclusivo e si ridurrebbe significativamente. Questo perché, se prima bastava essere vegan e rispettare gli altri durante le iniziative, con l’intersezionalismo un’attivista deve anche condividere le relative posizioni politiche ed essere disposto a lottare per altre cause.
Infatti, dalle loro fonti sta emergendo sempre più l’incitazione e l’insistenza a dover assolutamente aderire ad ogni iniziativa a tutela dei diritti di tutte le categorie di individui sfruttati e discriminati in nome dell’intersezionalismo, fino al punto di escludere chiunque non sia disposto a farlo o a condividere questo pensiero.
Chi vuole strumentalizzare in questo modo il movimento per i diritti
degli animali boicotta e cerca di danneggiare coloro che non si
schierano come intersezionalisti e di sinistra.
Altro che inclusività!
Per gli intersezionalisti non è sufficiente dirsi simpatizzanti delle lotte a favore delle vittime umane ma è doveroso prenderne parte, anche cedendo le proprie risorse. Ritengono doveroso impegnarsi per diventare quelli che chiamano “degni alleati”, in caso contrario si sarebbe non solo mancanti ma anche colpevoli.
Con la scusa del rischio discriminazioni passano dal far sentire gli attivisti in dovere di creare delle safe space per individui appartenenti a certe categorie discriminate, al farli sentire in dovere di includere nel loro attivismo anche quello verso altre discriminazioni, sempre in chiave intersezionalista.
Il rifiuto delle discriminazioni all'interno del movimento per i diritti animali deve essere nel contesto del rispetto dell’altro. In questo senso è giusto e può essere necessario prendere posizione, ma nessuno deve essere escluso a priori. Nulla vieta agli attivisti di lottare per i diritti umani al di fuori del movimento per i diritti animali. Non bisogna ossessionarsi e fraintendere le priorità e l’importanza delle cose.
Le vittime più oppresse, più numerose e più trascurate non appartengono alla specie umana, hanno solo il movimento per i diritti animali dalla loro parte e hanno disperatamente bisogno di tutta la sua energia e delle sue risorse.
L’intersezionalismo, al pari di qualsiasi strumentalizzazione politica, contribuisce in modo significativo a creare divisione all’interno del movimento per i diritti animali, il quale, serve ricordarlo, non ha bisogno di occuparsi di questioni umane per avere dignità e valore.