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13 agosto 2025

Predazione e Sofferenza degli Animali Selvatici

Approfondimento di "Vegani a Favore dell'Uccisione dei Predatori"

La predazione non è una violazione di diritti morali

In filosofia morale, i pazienti morali sono entità degne di considerazione morale, mentre gli agenti morali sono entità capaci di distinguere tra giusto e sbagliato.

Mentre gli agenti morali sono esseri capaci di prendere decisioni morali, i pazienti morali sono i destinatari della considerazione morale. 

Gli animali non hanno bisogno di una giustificazione per il loro agire perché non sono agenti morali, ovvero non sono in grado di distinguere tra un’azione giusta e una sbagliata.

Ha forse senso pensare che un’eruzione vulcanica o un terremoto che hanno causato la morte di qualcuno abbiano violato il suo diritto alla vita? Chiaramente no. E l’uccisione di qualcuno da parte di un bambino di due anni può essere considerata una violazione di un diritto morale? No.

Per quanto riguarda la violazione dei diritti, non c’è una differenza moralmente rilevante tra un danno causato da un evento casuale, come un fenomeno naturale, e quello causato dal comportamento di qualcuno che non è in grado di essere consapevole della moralità delle proprie azioni. Così come un vulcano non può violare dei diritti, allo stesso modo un individuo che agisce senza cognizione di causa non può violare dei diritti.

La violazione di un diritto morale equivale alla trasgressione di un dovere morale. Solo gli esseri umani (senza gravi disabilità cognitive e dopo una certa età) possono essere considerati sia come ‘pazienti morali’ che come ‘agenti morali’. In altre parole solo noi esseri umani abbiamo sia diritti morali che doveri morali. Solo gli esseri umani possono essere ritenuti moralmente responsabili per le loro azioni.


Se gli animali fossero agenti morali

In effetti se gli animali avessero la capacità di comprendere l’aspetto morale delle proprie azioni non sarebbero del tutto giustificati ad uccidere, nemmeno per nutrirsi, e la predazione costituirebbe una violazione di diritti morali. La necessità di nutrirsi non costituisce una piena giustificazione per uccidere un individuo innocente benché rappresenti, per così dire, una notevole attenuante. Persino in quel caso quindi la loro colpa sarebbe fortemente mitigata dalla condizione di necessità in cui si trovano.


Necessità di difendersi e necessità di nutrirsi

Dal momento che non si può parlare di violazione di diritti, e che in entrambi i casi è una questione di sopravvivenza, per quale motivo la necessità delle prede di difendersi dovrebbe essere considerata automaticamente più importante rispetto a quella dei predatori di nutrirsi?

Se si tratta della quantità di sofferenza, probabilmente è vero che la sofferenza delle prede che vengono cacciate è più spesso maggiore rispetto a quella dei predatori che non riescono a cacciare, ma esistono anche casi in cui è la sofferenza dei predatori ad essere maggiore.

Alcune delle morti sono lente ed estremasmente dolorose per le prede, tuttavia, almeno in una parte dei casi, le prede terrorizzate producono ormoni che non permettono loro di sentire dolore durante l’uccisione. Inoltre a volte il predatore uccide rapidamente la preda, ad esempio attaccandola al collo. Questo permette al predatore di consumare il corpo della preda senza il rischio che la preda scappi e senza il rischio di subire ferimenti a causa dei suoi movimenti.

Anche nel caso dei predatori che non riescono a cacciare e a nutrirsi però non si tratta di una sofferenza lieve ma di un lento declino che può portare sofferenze anche molto intense a causa della comparsa di malattie e della perdita della capacità di proteggersi da condizioni avverse di ogni tipo, inclusa l’aggressione da parte di altri animali.


L'esempio del parassita

Uno degli esempi che fanno coloro che sostegnono l'uccisione dei predatori è quello di un parassita senziente che si è attaccato al proprio corpo o a quello di qualcuno a cui teniamo (magari un animale di cui ci prendiamo cura) rischiando di provocare gravi problemi di salute e persino la morte, e l’unico modo per liberarsene è ucciderlo.

Di solito in realtà parassiti come le zecche devono essere estratti ancora vivi per non rischiare gravi complicazioni per l’animale che viene attaccato, mentre parassiti come le zanzare e i tafani non hanno bisogno del sangue di altri animali per sopravvivere ma solo per riprodursi. In effetti però esistono anche parassiti che per liberare l’animale ospite devono necessariamente essere uccisi.

Comunque sia, stando alle condizioni dello scenario ipotetico presentato, vanno considerati almeno due aspetti: il primo riguarda la minore certezza sul grado di coscienza e senzienza del parassita, che però essendo appunto un’incertezza non rappresenta una forte motivazione per attribuirgli una minore considerazione morale; il secondo riguarda l’obbligo morale speciale che abbiamo acquisito dal momento che abbiamo scelto di prenderci cura di qualcuno che non è autosufficiente, come nel caso di un animale adottato.

Nel caso il parassita abbia attaccato il proprio corpo è difficile dare una risposta perché analizzando nel dettaglio la situazione sotto l’aspetto etico l'azione di uccidere il parassita sembra moralmente sbagliata. Tuttavia se si tratta di mettere in serio pericolo la propria salute o la propria sopravvivenza, l’eventuale colpa che avremmo nell’uccidere il parassita sarebbe comunque fortemente mitigata dalla condizione di necessità.


L’esempio del boa constrictor

Un altro esempio che usano spesso per convincere gli altri vegani dell'idea che sia giusto uccidere e sterminare i predatori è quello di un boa constrictor che sta per uccidere noi o qualcuno a cui teniamo, e l’unico modo che abbiamo per salvarlo, o per salvare noi stessi, è uccidere il boa constrictor, scommettendo sulla probabilità che tutti diremmo che: sì, la cosa giusta da fare sarebbe senza dubbio ucciderlo.

E se è giusto uccidere il boa constrictor quando la vittima siamo noi, per coerenza dovremmo considerarlo giusto (oltre che anche nel caso di altri predatori) anche quando le vittime sono gli animali erbivori che vivono in natura, a prescindere dalla loro specie, accusando di specismo chi non condivide questa posizione.

Ma l’intuizione che uccidere il boa constrictor sia senza dubbio la cosa giusta da fare, per quanto comprensibile, non è esatta.


L’esempio del bambino

Immagina un bambino piccolo che sta per stritolare un criceto, o che sta per soffocare un altro bambino, e l’unico modo per impedirglielo sia quello di ucciderlo. Pensi che ciò corrisponda alla cosa giusta (e ideale) da fare?

Probabilmente no. Coloro che cercano di diffondere l’idea che sia giusto uccidere i predatori, nel caso di un animale che ne aggredisce un altro, ragionano come se uccidere fosse la prima cosa a cui pensare nonché l’unica cosa da fare, e cercano di convincere gli altri vegani a ragionare nello stesso modo. Ma un bambino piccolo e un animale sono entrambi innocenti, a prescindere dal loro comportamento, perché non sono sufficientemente in grado di capire che quello che fanno è sbagliato. Il pensiero specista in realtà è quello che attribuisce più importanza alla vita del bambino rispetto a quella di un animale.

La specie dell’aggressore, così come quella della vittima, non ha importanza. In un caso del genere la cosa giusta (e ideale) da fare sarebbe tentare di salvare la vittima senza uccidere l’aggressore, a prescindere che si tratti di un bambino piccolo o di un animale. In nessun caso del genere chi aggredisce può essere ritenuto colpevole.


Risposta a chi afferma che se scegliamo di salvare le prede ma di non uccidere i predatori morirebbero comunque o farebbero altre vittime

É vero che a differenza di un bambino, difficilmente un predatore selvatico può sopravvivere senza mangiare il corpo di altri animali, e che probabilmente se non viene ucciso, farà altre vittime o morirà comunque di stenti. Ma anche il bambino, benché possa vivere senza mangiare animali, farà delle vittime, e anche molte di più del serpente. Persino nella rara eventualità in cui in futuro decida di diventare vegano farà involontariamente delle vittime, perché anche i vegani causano sofferenza e morte ad un certo numero di animali anche solo per il fatto di esistere. Che l’uccisione avvenga in modo volontario o meno non conta: per l’animale che la subisce, ciò che conta è solo il risultato, e per giudicare chi la compie ciò che conta è solo la consapevolezza della moralità del proprio agire.


Risposta all’esempio del boa constrictor

In una situazione come quella del boa constrictor non è sbagliato cercare di salvare se stessi o qualcun altro (a prescindere dalla sua specie) ma la cosa giusta sarebbe cercare di farlo senza danneggiare l’animale che sta aggredendo. Se possibile, si dovrebbe ricorrere all'aiuto di qualcuno che sia in grado di intervenire efficacemente in questo modo.

Perciò se questi vegani ci tengono davvero a fare la cosa giusta in circostanze simili, invece di darsi da fare allo scopo di convincere gli altri vegani che sia giusto uccidere i predatori, dovrebbero organizzarsi per riuscire quanto più possibile a salvare le vittime senza fare del male ai predatori.

Effettivamente se ci trovassimo davvero in una circostanza di questo tipo sarebbe molto difficile mantenere il sangue freddo. In realtà difficilmente avremmo la possibilità di intervenire in alcun modo, ma se l'avessimo sarebbe normale sentire l’urgenza di difendere se stessi o qualcuno a cui teniamo, probabilmente senza riuscire a ragionare in modo controllato. Considerando anche tutte le influenze e i limiti di una situazione così estrema, sarebbe comprensibile venire sopraffatti dalle proprie emozioni, finendo con l’uccidere l’animale che aggredisce. Ed è anche comprensibile che questo possa accadere più facilmente nel caso in cui ad aggredire fosse un animale piuttosto che un bambino, per via delle ripercussioni nonché delle sensazioni che possono frenarci molto di più nel secondo caso. Comunque sia, per la precisione, da un punto di vista etico uccidere sarebbe ugualmente sbagliato ma anche ugualmente mitigato dalle circostanze. 

Questa attenuazione della colpa però, per quanto significativa, non va confusa con una piena giustificazione. Il fatto che sia comprensibile uccidere un innocente per difesa non la rende una scelta giusta, tantomeno desiderabile. Anche in casi come questo uccidere rimane comunque un comportamento fondamentalmente sbagliato. Non dovremmo usare la nostra imperfezione per giustificare l'eliminazione dei predatori.


Si può essere vegani anche ritenendo giustificato uccidere un animale per necessità

Va detto che il veganismo di per sé non implica l’idea che uccidere un animale per necessità sia sbagliato, né per nutrirsi né per difendersi. Il veganismo è contrario allo sfruttamento degli animali, e semmai al fare loro del male intenzionalmente, ma pur sempre nel limite del possibile e del praticabile. In ogni caso si tratta di situazioni estreme di cui il veganismo non si occupa.


Si può essere vegani anche senza essere antispecisti

Spesso si confondono veganismo e antispecismo. È un errore comprensibile perché si tratta di due posizioni etiche molto vicine, sia concettualmente che nella realtà.

Ma in effetti non sono la stessa cosa. Mentre il veganismo è la contrarietà allo sfruttamento degli animali, l’antispecismo è la contrarietà alla discriminazione degli individui in base alla specie a cui appartengono. É possibile quindi rispettare gli animali ed essere contrari al loro sfruttamento e alla crudeltà nei loro confronti pur continuando a considerare più importante la vita umana, o magari considerando la vita di cani e gatti più importante di quella di maiali e galline (o anche considerando la vita umana meno importante di quella degli altri animali).

Benché difficilmente si può essere antispecisti senza essere vegani (se non in casi molto rari di persone fortemente egoiste, nichiliste o simili che potendo tratterebbero senza problemi gli altri esseri umani così come vengono trattati gli animali) è certamente possibile essere vegani senza essere antispecisti. Man mano che il veganismo si diffonderà è possibile, se non probabile, che i vegani specisti saranno sempre di più, aumentando anche in percentuale.


La fallacia logica della natura

Ci sono persone (vegane e non) che all’opposto sostengono che ciò che è naturale sia automaticamente buono e giusto, e che per questo motivo non dovremmo mai intervenire per salvare un animale che viene predato in natura, nemmeno in circostanze casuali e in modo non violento.

Ma ciò che è naturale non è automaticamente buono o giusto, anzi. Non c’è ragione di considerare come una fonte di bontà e giustizia la natura. La vita in natura non è governata dalla bontà o dalla giustizia, e infatti ha sviluppato molti aspetti orribili e brutali.


Se potessimo aiutare i selvatici sarebbe giusto farlo ma non sappiamo ancora come

Se potessimo salvare le potenziali prede in natura (e in generale tutti gli animali selvatici vittime di circostanze avverse) in modo efficace, senza causare la morte e la sofferenza di nessun animale, né direttamente né indirettamente, sarebbe giusto e importante farlo, ma prima dovremmo capire se questa possibilità esiste davvero. Dovremmo farlo collettivamente e in seguito ad approfondite ricerche scientifiche (senza fare del male o sacrificare alcun animale). In ogni caso non bisogna dimenticare che il veganismo non c'entra nulla con questo aspetto della realtà e non implica la condivisione di alcuna idea in merito. Confondere il veganismo con il protezionismo nei confronti degli animali selvatici, oltre a danneggiare la comprensione delle due diverse cose, può solo rallentare la diffusione del veganismo, portando ad un numero maggiore di animali sfruttati dagli esseri umani e riducendo allo stesso tempo le possibilità di aiutare gli animali selvatici che vivono in condizioni avverse per cause naturali.


Perché uccidere i predatori probabilmente non sarebbe nemmeno efficace anzi sarebbe controproducente


Al momento, a prescindere dal tipo di intervento, non sappiamo se sia possibile anche solo ridurre la predazione tra animali selvatici. Da quello che sappiamo, persino sterminando tutti i predatori (cosa pressoché impossibile) si causerebbe ancora più sofferenza agli animali selvatici a causa dell'aumento della popolazione degli erbivori che morirebbero per mancanza di risorse e che se le contenderebbero anche in maniera violenta. In realtà rimuovendo predatori dall’ambiente, ad esempio attraverso la loro uccisione, si stanno solo liberando risorse per altri predatori che appartengono alla stessa nicchia ecologica, i quali si riprodurrebbero maggiormente proprio a causa delle maggiori risorse disponibili, finendo col sostituire quelli che sono stati uccisi o rimossi. Perciò è facile che un intervento letale non porti ad una riduzione delle aggressioni fra animali selvatici, ma porti solo ad aver commesso e incoraggiato atti violenti contro esseri innocenti, oltretutto probabilmente causando una quantità persino maggiore di sofferenza e morte per altri animali selvatici in modo indiretto.


Le proposte alternative per aiutare i selvatici

In alternativa alle uccisioni sono state avanzate diverse proposte, alcune più etiche, altre decisamente meno, ma tutte molto fantasiose, poco realistiche e dagli effetti attualmente imprevedibili se davvero si riuscisse a metterle in atto. Fra queste: l’idea di nutrire i predatori con carne coltivata; quella di separare i sessi e le specie; quella di sterilizzare gli animali e farli vivere in strutture o aree controllate; o persino modificarli geneticamente (cosa che fra l’altro richiederebbe la loro cattura, detenzione, riproduzione forzata ed esperimenti su di loro);


La predazione non è l’unico problema in natura

La predazione non è l’unico problema degli animali selvatici. Soffrono anche per malnutrizione, fame e sete, danni da fenomeni naturali, stress e terrore, parassiti, ferite accidentali, malattie, e aggressioni non di tipo predatorio. Inoltre si riproducono esponendo nuovi individui alla predazione e ad altri gravi rischi e gravi sofferenze che possono essere evitate solo non venendo al mondo.


Il rewilding e i ripopolamenti

Il rewilding è il ripristino della condizione selvatica di aree precedentemente trasformate dagli esseri umani. Può essere fatto cercando di spingere le attività umane ad abbandonare certe zone, o più realisticamente, cercando di proteggere le zone abbandonate dagli esseri umani impedendone un successivo riutilizzo.

Sempre più persone, inclusi molti vegani, ambiscono non solo a proteggere ma anche a ripristinare la natura selvaggia di alcune aree, e vedono di buon occhio la conseguenza futura dell’abbandono dell’allevamento, che probabilmente consisterà appunto nel rewilding di molte aree attualmente utilizzate per le coltivazioni destinate alla produzione di mangime, e ai pascoli degli allevamenti estensivi.

Ma il ripristino di questa condizione selvaggia causerà anche l’aumento della popolazione degli animali che abiteranno questi luoghi, e con loro tutta la grave sofferenza che fa parte della vita degli animali selvatici in natura, inclusa la predazione.

Va detto che il rewilding di per sé non è in contraddizione col veganismo (che non riguarda la sofferenza degli animali selvatici ma lo sfruttamento degli animali) ma potrebbero esserlo alcune attività connesse al rewilding, come i ripopolamenti, che appunto costituiscono una forma di sfruttamento degli animali.

Certamente l’allevamento, con tutti i suoi apparati, deve essere abbandonato ma, contrariamente a ciò che si può pensare, il rewilding (nonostante sia preferibile rispetto all'esistenza della zootecnia) non è un bene per gli animali.

L’allevamento è comunque destinato ad essere abbandonato, e probabilmente non sarà il movimento vegan a causarne (né ad accelerarne) la fine, bensì saranno i problemi legati alla sostenibilità ambientale e sanitaria assieme alle innovazioni tecnologiche.

In ogni caso quindi la diffusione del veganismo, contribuendo in modo significativo ad una maggiore considerazione morale degli animali, e quindi ad un maggiore interesse per cercare di prevenire la loro sofferenza anche in natura, è certamente un bene anche per gli animali selvatici, compresi quelli che risentiranno del rewilding legato all'abbandono dell'industria zootecnia.


Il legame con il consequenzialismo

Benché chi propone l’idea che sia giusto uccidere e sterminare i predatori affermi che sia guidata da un approccio deontologico (nello specifico threshold deontology) molto più che da un approccio consequenzialista, in quanto basata sul concetto di “diritto morale” tipico della deontologia, in realtà evidentemente è vero il contrario in quanto questa idea non si fonda su azioni considerate giuste o sbagliate di per sé, per principio (come nella deontologia) ma sulle conseguenze delle azioni (come nel consequenzialismo) cioè sulle conseguenze della scelta di uccidere o meno i predatori. Infatti chi la sostiene non giudica la moralità dell’azione di uccidere i predatori sulla base di principi ma sulla base delle conseguenze (riduzione contro aumento dei casi di “violazione di diritti morali tra animali selvatici”, o riduzione contro aumento della sofferenza degli animali selvatici).

Un altro aspetto che appare in linea con un approccio consequenzialista è l’idea che la cosa giusta e doverosa da fare non si limiterebbe soltanto ad una scelta passiva ma anche ad una attiva (quella di mettere in atto interventi letali preventivi). Per il consequenzialismo infatti, dal punto di vista morale non c’è differenza tra l’agire e il non agire, l’unica cosa che conta è il risultato e, sempre per il consequenzialismo, è su questo che si basano i doveri morali.

Un altro indizio che lascia intendere la natura consequenzialista di questa idea consiste nel fatto che chi la sostiene reputa giusto uccidere i predatori solo quando le loro prede non sono anch'esse dei predatori. In base a questo modo di pensare la moralità dell'azione (in merito all'uccisione dei predatori) sembra molto poco basata su principi e molto basata invece sulle conseguenze.

Lo stesso ragionamento lo applicano ai pesci pescati: molte delle prede dei pesci pescati sono anche’esse dei predatori. Di solito questa viene indicata come una motivazione per non uccidere i pesci carnivori in quanto le loro prede sono a loro volta carnivore, perciò “colpevoli” di uccisioni (per quanto non tutti i pesci pescati uccidono altri esseri senzienti per nutrirsi).

 

Ultimo aggiornamento: 21 Agosto 2025